1874 - Scritti d'arte di Alberto Rondani - Cristoforo MarzaroliQuell'artista che potesse intendere appieno e recare non imperfettamente in atto la verità racchiusa nella sentenza da noi scritta in fronte a queste pagine, n'avrebbe una lode che mi pare proprio quella che più sarebbe stata meritata dallo scultore Cristoforo Marzaroli fra le tante che egli ottenne in vita ed ebbe postume.  Cristoforo Marzaroli nacque sui colli di Salsomaggiore nel 1838, e morì a Parma il 23 febbraio 1871. Aveva egli svelato fin da giovanissimo un grande amore e una singolare attitudine all'arte, e, perché la famiglia sua era di pochissimo censo, fu per privati soccorsi mantenuto qualche anno all'Accademia parmense di belle arti. Non resse, come egli stesso mi disse più volte, agli studi del disegno elementare, sempre un po' lenti, rigidi, metodici, e fuggì dalla scuola. Fu cercato e trovato in quella di scultura, presso il Prof. Cav. Agostino Ferrarini (artista di rettissimo giudizio, di molta e svariata cultura ed ottimo Maestro che aiuta a far le ali, chi può farle), e perché vi aveva cominciato a lavorar benino, vi si lasciò; come in pochi anni progredisse attestan le sue opere.

Fu il Marzaroli di statura meglio che mezzana; scarno, pallido, abbronzato; portava lunga la bellissima chioma nera: gli occhi suoi piuttosto piccoli, nerissimi, scintillanti, rivelavano un'animo ardente, delicato, sincero: nei movimenti, nel portar della persona spigliato, quasi militare; deve essere stato un simpatico soldato quando nel 59 ne indossò volontario l'assisa. Di natura affettuoso e modesto, pregava con dolcezza gli amici a voler dar giudizii sulle opere sue; nè mi sono mai accorto lo facesse per carpire una lode; molto più che ciò accadeva quasi sempre quando abbozzava.

Temperato nel cercar fortuna coll'arte, non chiedeva egli che lavoro bastevole al sostentamento della sua nascente famiglia, di cui era provvido capo: tuttavia patì quelle augustie, quei segreti e quasi disperati dolori, che isteriliscono i più gagliardi e fecondi ingegni, fanno meno capace dei santi trasporti il cuore, conducono anche i migliori alla consuetudine d'uno sdegno scettico. E forse gli stessi allogamenti che a lui faceva una cospicua famiglia con munificenza antica, erano alla sua anima delicata, cagione di malinconiche meditazioni.

Non conosco del Marzaroli nessuna di quelle che si chiamano avventure, non rare nella vita degli artisti; nè so che egli ne abbia avute mai. So però che ogni qualvolta notava in una persona alcunché di singolare, di tipico, insomma d'utile a lui, egli la seguiva per lunghe ore, e le girava attorno, e si studiava d'incontrarla più volte per osservarne, i tratti del volto così nei due profili come nel prospetto e nei tre quarti. E però dovette un giorno render conto di sè ad un capitano dei bersaglieri a cui aveva fatta una strana e ben lunga corte; fu una scena, come puossi immaginare, assai comica; ma fatti consimili sono comuni a gran parte degli artisti, e se questo fosse il momento, ne conterei delle belline in verità.

1874 - Scritti d'arte di Alberto Rondani - Cristoforo MarzaroliLa cultura al Marzaroli, come a troppi altri artisti, facea piuttosto difetto; ma noi di ciò non gli farem carico certamente, chè sappiamo com'ei dovesse affrettarsi ne' suoi studi artistici, nei quali quello che fece, se si ha riguardo al tempo, pare miracolo.

Era forse per questa deficienza di cultura che egli non aveva la parola moltissimo spontanea e felice; gli era anzi talvolta quasi un ostacolo all'espression dei pensieri; pure mostrava d'averne di giusti e di alti (ciò che gliene faceva anche più difficile la manifestazione) onde potè essere consapevolmente filosofo nell'arte sua.

Nè era sua dote, come è di molti scultori, quella grave mutezza che è dovuta, forse, alla rigidità della materia che trattano, o forse all'attenzione assidua che debbon porre a non errare d'una linea. Chi ha frequentate le scuole di pittura e quelle di scultura avrà osservato che mentre le prime son vive d'un continuo cicalìo, o di canti o di zufoli, nelle altre bene spesso regna quiete solenne, e i colpi di martello sul marmo sono talora la sola armonia che vi risuoni; ivi tutto ci conduce a meditare; sentiamo di trovarci fra gente che lavora per una remota posterità.

Io credo che se la Storia fosse realmente una donna quale l'abbiamo vista effigiata le tante volte, ella non troverebbe più conveniente dimora d'una scuola di scultura, se pur volesse vivere fra gli uomini.

Ebbe il Marzaroli il più grande e meritato onore soltanto in quei giorni supremi, in cui l'uomo comincia a considerar come vane molte fra le cose che ha ardentemente ambite. Accettollo colle gentili dimostrazioni di gratitudine di chi vuol passare col divino compiacimento d'aver rimunerato tutti di amore. Trapassò confortando i cari suoi; pur tentando render meno amara codeṣta partita alla famiglia, ch'egli sapeva in qual condizione lasciava. Suonava l'eco dei plausi tribulati al Valoroso in tutta Italia, e le querimonie dei consanguinei e degli amici, il compianto dei cittadini risuonavano su lui, fra quelle domestiche mura che la luce della gloria facea tanto più sacre quanto più erano povere.

Fu all'Esposizione nazionale di Parma ove la fama del Marzaroli s'accrebbe di tanto e s'allargò nell'Italia; qui il nostro scultore fu da vicino confrontato coi migliori della Penisola, e il paragone che sarebbe stato fatale ad un mediocre, fe'più palesi le virtù artistiche del Parmigiano.

Il Giury incaricato del conferimento dei premii, aggiudicò allora la medaglia d'oro a due sole opere di Scultura La Nostalgia, di Cristoforo Marzaroli e il Colombo, di Giulio Monteverde; confermando così il giudizio unanime dei visitatori dell'Esposizione, intelligenti e profani. Rara concordia di giudizii e che vuol dir tanto in favore dei due premiati.

Oltre alla Nostalgia il Marzaroli aveva esposto: La Strega. Statua in gesso. Una vecchiaccia lunga e rugosa, che non si può guardare, nè starle presso senza un certo raccapriccio.

Questa statua tradotta in marmo o anche fusa in bronzo, sarebbe uno de' più convenienti ed originali ornamenti d'un giardino, d'una grotta, chi sapesse collocarla ammodo e crearle attorno un ambiente tetro e misterioso.

Nel genere essa è una meraviglia, pel tipo e la giusta proporzione delle membra secche e nerborute. Non ha nulla che non sia o non possa essere in natura, pure è un essere fantastico, è l'incarnazione della malignità; ciò che prova che anche nella creazione di tipi ideali si può esser veri senza che il simbolico ci perda.

G. D. Romagnosi. Statua in gesso, da cui l'artista cavò quella in marmo innalzata a Piacenza.

Il filosofo è in piedi: la testa un po' cascante sul petto, il guardo abbassato, nè fiso in un punto determinato, sono tutto un pensiero; è meditante più che ispirato, poichè è figurato nell'età sua matura: non v'è parte di questo monumento che non concorra a far più grande e palese la serietà del concetto.

Un busto in gesso rappresentante Francesco Scaramuzza. Ritratto fedelissimo. 
La posterità saprà ben grado a Cristoforo Marzaroli d'averle serbato in opera degna la testa michelangiolesca del grande illustratore della Divina Commedia. 
Accennerò le principali fra le opere non esposte dal Marzaroli alla Mostra parmense: Il Parmigianino Statua in gesso collocata ora nella gran galleria della pinacoteca di Parma.
In nessuna opera di scultura, come nei simulacri degli illustri destinati a ornar piazze o edifici, si trovano in più evidente contrasto le due scuole in cui è ormai divisa quest'arte, la monumentale e la realistica.
Non può essere altrimenti. In questo caso la statua è il ritratto d'un uomo, che fu od è, come gli altri, di carne e d'ossa; ma codesto ritratto è o monumento da se stesso, o è parte d'un monumento. La prima scuola ha solo riguardo a questo; ma spesso poi nel cercare il decoroso, il grandioso, il solenne, il monumentale, perde il vero, o, almeno, il naturale; cade nella convenzione, e mentre cerca nella imitazione dell'arte greca la cifra, il simbolo, che renda epica la sua figura, dimentica, o neglige apposta, il vero, la storia a cui appartiene il suo personaggio, insomma i colori locali. Ciò che certo non facevano i Greci, i quali non vestivano le statue dei loro eroi, p. e. all'egiziana. Di guisa che quel qualunque sentimento che vi ispirerebbe il personaggio figurato nel marmo o nel bronzo, se vivo e parlante stesse davanti a voi, non vi nasce nel cuore: lo contemplate come fareste per una statua dissotterrata a Pompei: l'opera d'arte resta un insieme di linee più o meno artistiche o matematiche, nè avete altra voglia che di analizzarle freddamente.
O se essa vi meraviglia o commove non spira però nel vostro cuore quel sentimento a cui dianzi accennavamo, quello che in noi spirerebbe il vero; sentimento che è il primo e più forte che chiediamo al monumento, se pur non è l'unico.
La scuola realistica invece, intenta solo a riuscir vera e ad ostentarlo, sorprende il personaggio in un qualunque momento, anche non storico, della sua vita, e fa una statua di genere, se non una caricatura. La prima scuola uccide l'uomo per sostituirgli l'eroe, l'altra l'eroe, per sostituirgli l'uomo e talvolta spinge la teoria tanto in là, vuole così esclusivamente l'uomo che della vita di lui illustra coll'opera d'arte un momento tutt'altro che storico ed esteticamente buono.
E in siffatto argomento sembrano più risolute che mai le due scuole a tener ciascuna il proprio campo; la monumentale per esser tale almeno nei monumenti, dei quali mostra i modelli in quei del Canova, la realistica perché nel simulacro d'un uomo, per quanto grande, non sa, non vuol vedere che un ritratto, e capitombola nel naturalismo, nel materiale. Si direbbe non potersi esse conciliare, se il Bartolini e, più e meglio, anche perché venuto dopo di lui, il Vela non avessero cogli esempi, più efficaci delle prediche e delle critiche, dimostrato il contrario. Anzi, chi contempli bene il Napoleone morente del Vela, trova che un sano connubio delle due scuole deve portare il miglior frutto. - Le esagerazioni di due opinioni contrarie hanno fra sè la verità, ma quanto e dove debbano esse opinioni concedersi scambievolmente, è il solito problema.
In più modeste proporzioni che nel Napoleone del Vela, anche per l'interesse storico dell'argomento, nel Parmigianino evvi la più spontanea verità giunta alla dignità e calma proprie delle figure monumentali.
È un artista che dipinge, ha tutto l'animo nel suo lavoro; proprio come se fosse quieto, isolato nel suo studio; non come uno che sappia di essere intanto ritratto e ha trovato la positura, l'azione. La movenza è gentile, naturale insieme e nuova.
Nel San Sebastiano, (statua in gesso, proprietà del Conte Senatore Luigi Sanvitale) statua che il Marzaroli condusse a diciannove anni, il pensiero è manifesto (ancor più che non sia nella Nostalgia, di cui diremo) ed è profondo il sentimento.
Il San Sebastiano è un uomo, giacchè la verità per così dire anatomica lo palesa, ed è un santo, giacchè non meno apertamente lo palesa così la luce di spiritualità del volto, che si volge sereno e desideroso al cielo, come la pazienza di quelle membra quasi calme benché così atrocemente tormentate.
Chi volesse analiticamente ricercare i perché intorno a quel nudo di tanta verità si avvolga un'aura così paradisiaca; chi volesse proprio ricercare dove risieda la celestiale idealità di quella figura, parmi la troverebbe e nell'espressione del volto e nella movenza della testa non solo, ma ancora nelle mani e nei piedi punto contratti; la qual contrazione sarebbe, p. e. di chi i tormenti suoi accrescesse coll'ira e colla brama della vendetta: di chi non avesse tanto possente aspirazione nello spirito da tollerar rassegnato l'agonia per quanto crudele, del corpo; così da non permettergli che quei moti che negli acuti dolori sono involontari. Imperocchè si pare come questo martire quasi cerchi di comporre nella quiete solenne della morte le membra dolorose, contento, grato a' suoi uccisori: ciò si pare, dico, non senza che dello strazio del corpo, e nell'anelito del petto e nella stanchezza estrema di tutta la persona, siano resi con evidenza gli effetti.
Dove il Marzaroli ha potuto dimostrare la conoscenza del nudo, nelle più delicate forme, si è in uno de' suoi primi lavori, nell'Ismaele, basso rilievo di perfettissimo disegno; figura, per l'espressione, pietosissima. Forse il giovinetto potrebbe essere più dimagrato, ma vi sarebbe stato per avventura il pericolo di cadere in un realismo patologico.
Il Marzaroli aveva ideato più d'un monumento; quello, di semplice e buona composizione, alla Contessa Albertina Sanvitale, l'aveva già cominciato in marmo, e lo ha degnamente condotto a fine il Signor Romanelli, e l'hanno poi collocato infelicemente in San Giovanni, ove fa a dirittura spiacevole effetto e appare gretto e meschino. Trovava il Marzaroli assai bene anche la parte architettonica dei monumenti: i piedestalli ne sono semplici sempre e severi.
Una graziosa statua di genere è il ritratto al vero di un figliuolino del compianto artista. È chiuso dentro una piccola seggiola da una spranghetta che unisce i due bracciuoli, e tende allegramente irrequieto le braccia, perché ne lo facciano uscire. La smania quasi convulsa di liberarsi d'ogni inciampo è manifesta in qualsivoglia parte della personcina; nel volto sorridente, nelle mani aperte, nelle gambe saltellanti.
Questo dell'estrema volubilità, della vivacità or allegra or irosa è il carattere primo dei bambini ed è anche il più difficile a rendersi nella scultura.
E un momento brevissimo, com'è naturale, quello in cui l'artista ha sorpreso il modello, ma è tale che lascia facilissimamente indovinare i movimenti che hanno preceduto e quei che seguiranno codesti in cui è figurato. E questo momento, dalla scelta del quale dipende il tradurre o no l'idea nell'opera, non è la fotografia, per certo, che insegna ad afferrarlo.
Del Marzaroli ho veduto parecchi busti, ma quello che mi fa sempre una profonda e gradita impressione, lo vedessi venti volte al giorno, è il ritratto vivo, sorridente d'un segantino di marmi. L'uomo tradotto in gesso è rimasto qual era in pelle ed ossa: pare ancora di udire scoccare da quelle labbra, che ridevano sempre, le arguzie, che a quella buon'anima una cotale ingenita contentezza e il vino risvegliavano abbondevolmente.
I busti, anche di sommi artisti, quelli dello stesso Bartolini, hanuo un non so che di statuario che arieggia il monumentale, e si circondano d'un'aura antica, quasi sacra, d'un'aureola gloriosa, pur conservando la fedeltà delle forme.
Ecco qual è forse la ragione di questo fatto. Il Bartolini (e quando dico il Bartolini gli è lo stesso che dicessi gl'idealisti, quantunque egli credesse d'esser tutt'altro) conserva ne' suoi busti, la fedeltà delle forme, ma solo una fedeltà che oserò chiamare tipica: cioè, della testa ch'egli ritrae conserva il tipo, ma rende poi nell'opera un individuo quanto più gli permette il modello, perfetto.
Fra i tipi poi il Bartolini, se libero nella scelta, prediligeva, al mio parere, quelli augusti, severi quali immaginiamo dovessero esser non rari fra gli antichi.
Dava volentieri queste qualità del grandioso e del serio a suoi busti; anzi in questo ei raggiunse un ideale alto quanto forse quello dell'arte greca, che dicono egli non conoscesse. Di questa guisa la potente aspirazione della sua anima verso il perfetto lo portò vicino ai Greci quando meno forse se lo credeva: così la medesima brama di bellezza in anime capaci di esserne accese produsse lo stesso fatto, che direi psicogico, a distanza di parecchi secoli.
Sarebbe stoltezza dire che i busti del Bartolini non commovono l'animo; ma è quella commozione che ci domina al cospetto delle cose vetuste, che la storia ha vestite di poetica luce e fatte più grandi agli occhi nostri di quello che siano forse realmenie state; è meraviglia, è rispetto, è vergogna di nostra pochezza: ma son ben altre le fibre del cuore che si muovono all' affetto dei figli, dei parenti, degli amici; fibre che l'artista deve pur toccare.
Quale delle due scuole plastiche, trattandosi di busti, si deva scegliere è forse non difficile a stabilire: il monumentale nuoce, parmi, ai busti.
Quando infatti io faccio ritrarre in marmo o in bronzo una persona cara, intendo di voler lei, quella persona più viva e vera che sia possibile, fino ad illudermi che il simulacro mi possa essere una compagnia non vana; e questa ideale corrispondenza d'affetti, questa illusione è crudelmente guasta, è derisa nei busti d'uomini dei nostri tempi, atteggiati teatralmente, o grecizzati o romanizzati il che non è idealità, è anacronismo è infedeltà al vero.
Non voglio tacere d'un bellissimo ritratto dell'illustre Conte Jacopo Sanvitale, plasmato solo in creta, cogli occhiali pure di creta, che gli aggiungevano verità e originalità senza dargli quel grottesco che potrebbe credere chi non ha veduto l'opera. Le linee del volto erano inappuntabili, ma perché la persona, come si poteva indovinare da quella parte che se ne vedeva nel busto, pareva ritta e quasi stecchita, mentre Egli, il Poeta, benché sentisse

 

Quindici lustri e più leggieri al dorso,

 

nella sua grave età, andava un po' curvetto nelle spalle, e per lunga consuetudine di meditare, teneva gli occhi a terra, parve all'artista di non aver reso il ritratto morale, e rimpastò la creta.

Se il busto del Sanvitale fosse realistico o no quella. novità degli occhiali lo dice anche troppo. Anche il busto del Verdi è un ritratto nè più nè meno; e perché dovrebb'essere altra cosa? perché il Verdi è un grand'uomo? Al parere di alcuni la ragione per cui un ritratto non debbe essere un ritratto è proprio questa; pei posteri, dicono quei tali, non vive che l'anima del grande uomo: pei lontani di tempo ed anche, fino ad un certo segno, pei lontani di luogo, egli è più che altro un'idea. Costoro non hanno tutto il torto: ma ne vien proprio di conseguenza che i ritratti de' sommi uomini debbano essere raggentiliti, abbelliti, corretti e nella posa e persin talvolta nel costume o fatti, come dicono, eroici? Codesta è licenza che gli stessi Greci non osarono permettersi, i quali, nelle altre opere loro che non fosser ritratti, a nobilitar le forme fecero con delicatissimo gusto e direi con certo ardimento tale elezion del bello che i loro lavori sembrano una correzione della natura; fecero cose, per esprimermi con le parole di Raffaello, non come le fa la natura, ma come le dovrebbe fare. Ed è forse per non aver osato dare ai ritratti bellezze e regolarità di linee che per avventura gli originali non ebbero, che i Greci furono così avari di statue ai loro grandi. E come, p. e. potremmo noi effigiar bello della persona Giacomo Leopardi ? Non sarebbe neanche giusto moralmente: i posteri crederebbero meno sincero e sentirebbero meno profondamente il suo Ultimo Canto di Saffo.
La questione dell'idealizzamento dei busti si fa solo pei busti rappresentanti i gloriosi uomini, i quali, secondo alcuni, non dovrebbero mai avere la soddisfazione di vedersi ritratti tali e quali, ma sì molto più belli, più grandiosi, più olimpici.
Dove il Marzaroli ha dato miglior saggio di sè è nella Nostalgia. È una fanciulla seminuda, languente, coricata sopra una rupe, e sospinge il guardo lontano.

 

E tienmi un sol pensier come in incanto,

Un loco sol m'è santo;

Io l'amo tanto.

 

Solitudine, oh! tu mi fai ribrezzo;

Ma un guardo, un riso, un vezzo

Mi par disprezzo.

 

Chi rende agli occhi aiei quel poggio amato?

Chi al piè il sentiero usato

D'ombre sì grato?

 

La mia vita è affannosa come un'erta

Senza meta, deserta,

Senz'ombra certa.

 

Nè verde è il prato a me, nè azzurro il cielo:

Tutto m'è bruma e gelo;

Il sole ha un velo.

 

Il Marzaroli plasmando la sua Nostalgia pensò certamente al canto sublime di Jacopo Sanvitale, dal qual canto ho riportato questi versi; del che n'ha onore il suo cuore così come l'ingegno che sentì la possente semplicità biblica della poesia sanvitalesca.

Nella Nostalgia la magrezza delle membra ne lascia indovinare la venustà se fossero piene. La Nostalgia è ura personificazione, una figura simbolica; ma non per questo il Marzaroli si è scostato dal vero; nè ha voluto la bellezza della natura correggere con bellezze fantastiche la natura non ha bisogno di essere corretta; il bello si trova sempre nel vero, disse il Canova in sul declinare degli anni.

Il professore Federico Maldarelli osserva che nella statua del Marzaroli, sarebbe non impossibile ravvisare un'orfana o un'amante infelice piuttosto che la Nostalgia; difetto tanto più notevole trattandosi d'una figura simbolica.
Il Maldarelli parla molto assennatamente, ma una figura allegorica rappresentante la Nostalgia, mi pare che non si sia fatta mai, e mancano agli artisti gli emblemi convenuti e i caratteri per cui far riconoscere la mesta personificazione: perciò in una statua solo si ponno significare gli effetti della tremenda malattia i quali, ciò è inevitabile, non possono non essere in qualche parte comuni ed altre malattie o passioni. E codesti effetti così nella stanchezza inferma delle membra, come in quell'ardente desiderio che è in tutta l'attitudine della fanciulla e più ancora in quel guardar fiso e lontano, sono significati con potenza di verità e di arte.

Figuriamo nella mente una spiaggia brulla (i sassi su cui s'è trascinata la giovinetta ce la fanno immaginare agevolmente), immaginiamo anche una misteriosa. lontananza di terre; e allora l'anima nostra gemerà dello stesso dolore che soffre l'anima della fanciulla. Questi piccoli sforzi d'immaginazione bisogna farli, chi voglia esser giusto verso gli scultori, la cui arte ha così scarsi mezzi.

La Nostalgia dicemmo, è una figura vera vera: ed io credo che ella debba in gran parte a questo l'amore (dico amore) che le ha portato e porta il publico. Se il Marzaroli si fosse staccato dalla natura e avesse chiesto il suo modello alla sola sua fantasia, o lo avesse cercato solo fra le figure simboliche dell'arte antica, senza far opera di maggior pregio, ci avrebbe toccato il cuore. assai meno che non faccia con questa fanciulla, sofferente proprio di quel dolore di che soffrono i mortali, non i miti, dolore che ella svela non teatralmente o plasticamente.

Mettetele d'allato p. e. la Malinconia di Alberto Dürer, e vedrete, ad onta che col disegno si possa ottenere più che non si possa nella scultura, qual delle due donne vi commoverà più l'animo a pietà. O, se piace più un altro esempio di questa maniera, al Napoleone. nudo, col mondo sulla palma della mano, del Canova, mettete allato il Napoleone morente del Vela e dite se la fedeltà, la verità, la storia sono preferibili o no al simbolo.

Vuol ciò dire che il Napoleone del Canova sia men bello che quel del Vela? No. Sono due opere che hanno incontrato il genio del rispettivo lor Pubblico: sono due maniere differenti di sentire una cosa; direi quasi la stessa cosa espressa in due diverse favelle. Canova, in fatti, contemporaneo di David, viveva quando gli studi classici fiorivano, quando ancor viva era la mitologia nella letteratura, quando era sorto un impero (causa, almeno occasionale, di quello speciale fiorire dell'arti) al quale poco mancava per arieggiare il Romano. E tutti parea si studiassero di dargliene almeno le apparenze, tutti dal Cesare Napoleone a Ugo Foscolo, il quale rappresenta la parte del romano republicano inflessibile; figura maestosa, nella vita publica, come quella di Catone. E quel che si dice del Canova, mutato quel che si dee, vale per lo Hayez, vale per quelli che segnano un periodo nell'arte.

Il periodo che l'arte sta varcando è rappresentatodagli artisti che sanno meglio e più evidentemente ed esclusivamente rappresentare il vero: oggi la coscienza artistica del publico abborre dalla convenzione per quanto ingegnosa e per quanto buon fine ella abbia: vuole il vero, il vero in tutto, nella forma e nell'idea dell'opera. E però il Marzaroli ha interpretato il suo soggetto con assai giusto criterio, quando volendo rappresentare la Nostalgia, ha figurata una fanciulla con palesi tutti gli effetti di quello strano,

 

Duro dolor che il cuor t'impietra e il ciglio.

 

Dire a dirittura a quale scuola appartenesse il compianto scultore, oltre che è difficile, perché, quantunque egli fosse vicino all'eccellenza, pure vagava ancora fra varie specialità di bello, sarebbe poi lungo e più difficile, perché sarebbe di mestieri l'intenderci bene sul valore di parole già accettate nel linguaggio artistico, ma di significato non al tutto definito: e di siffatte questioni non è qui luogo a trattare.

E poi nei seguaci delle due scuole in cui l'arte scultoria si divide, realistica е monumentalista, che corrispondono, per quel tanto, alle altre divisioni di classici e di romantici in letteratura, di melodisti e armonisti o avveniristi in musica, ecc. troviamo differenze più o meno sentite: e chi i seguaci tutti dell'una e dell'altra scuola consideri trova che formano una gradazione delle due maniere, così che gli artisti temperatamente realisti si confondono coi ragionevolmente idealisti; gradazione, d'altra parte, che si riscontra, si può dire, in tutte cose, così nel mondo sensibile come delle idee. Solo negli artisti esagerati le due diverse maniere d'interpretar la natura distintamente spiccano. E però il Marzaroli non si può dire settatore piuttosto di questa che di quella maniera: egli sceglieva temperatamente il buono dall'una e dall'altra, benché il più e il meglio

attingesse alla natura. Ciò non pertanto pendeva alcun poco al realismo, non dimenticando i grandi antichi, che studiava per imparare com'essi avessero studiata, interpretata, ritratta la natura; accennando egli così a quella via per cui si può esser classici senza copiare, e veri senza degradarsi.

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(1) Quando Giovanni Strazza condusse il busto di Alessandro Manzoni, tutti forse i giornali parlarono di quell'opera, e il grandissimo Uomo si divertiva a leggerne. Un giorno che n'avea forse letti parecchi, ebbe a dire allo Strazza, in dialetto milanese, s'intende: ma voi con questo ritratto m'avete eternato! No, Don Alessandro, gli rispose non meno argutamente e modestamente l'artista, io ho scritto il mio nome dietro a quel busto, e passerà ai posteri per questo.

Nelle parole dello Strazza c'è la verità che abbiam già detta, che cioè questo baccano di controversia intorno all'idealità o realtà nei ritratti si fa pei busti dei grandi uomini; per gli altri la verità tale e quale si accetta da tutti e quasi quasi anche il realismo. Or perché questa verità dovrebbe difettare ai busti de' grandi uomini? Ai quali si verrebbe a negare la soddisfazione di potersi vedere tali e quali in opera di plastica.

 

NOTE

(2) La statua è in gesso: il Comitato esecutivo per l'Esposizione nazionale di Parma aveva deliberato, pochi mesi prima che il Marzaroli morisse, di affidargli la traduzione in marmo della pregiata opera.

(3) Voto ragionato del Prof. Cav. Federico Maldarelli intorno al Colombo di Giulio Monteverde e alla Nostalgia di Cristoforo Marzaroli. 1847.

 

Tratto da:

Scritti d'arte di Alberto Rondani - 1874 - Parma .-  Stabilimento tipografico P.Grazioli

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