1900 regie salineRegie saline - Un documento risalente al 1772 scritto da Padre Bardetti descriveva Salsomaggiore in questo modo:
Questi siti et loghi erano antighissimamente aspre et spinose selve piene di sterpi et al piano tutto paludoso con fruti silvestrici, et i soi abitatori abitano sule coline et monti in abituri et capanne fatti con sassi, mattoni et terra et vi erano prime de la città di Parma et Piacenza et i soi abitatori che stavano in questi loghi et coline et monti visini erano Toschi et di poi gente venuta dalla Gallia della Celelata et che erano di gran ferocità et indomanti et che pertanto scampavano et vivevano la loro vita tutto l’anno con deti fruti silvestrici et radichi et erbe : et in questo antigo logo della Brugnola (così chiamavasì allora Salsomaggiore) deto Potiolo della Noce anche in quel di deta gente della Gallia Celtica facevano et confetavano dello sale con l’acqua salina, et che pertanto ricavano del profìguo “. Sembra dunque che i Galli Celelati producessero sale, si pensa che nell’idioma gallico « Celhelath o Kilelath » significhi « Acqua Salsa o Sale ».

Le sorgenti saline andavano ad una profondità di parecchi metri alla superficie, in ottobre o novembre del 589 causa frane i pozzi si interrarono e le sorgenti vennero ritrovate solo nel 798 e Carlo Magno concesse  in quell’anno, ai fabbricatori di sale esenzioni e privilegi ad alcuni uomini di Salso, Sallustiano, Vitaliano ecc., ai quali spettava il ritrovamento delle antichissime fonti saline. Si pensa che in quel periodo la località abbandonasse il suo nome di Brugnola di Pozzuolo della Noce, per assumere quello di Salsomaggiore.
Nel 877 Guiboldo vescovo di Parma, assegna il 29 dicembre ai Canonici della Cattedrale la metà del territorio Salsese e le relative saline.
In una carta dell'anno 891 conservata nell'Archivio della cattedrale di Piacenza si legge che Adreverga dona a Giovanni, suo figlio, quanto possedeva in: « .... casale Salsae minoris tam casis, curtis, puteis, fontanis ».
In un documento piacentino del 2 gennaio 899 è riportato che il conte Everardo dona alla chiesa matrice di S. Giustina della città una tenuta nel territorio di Salso.
Il 27 agosto 939 Andrea vescovo di Tortona, dona a S. Maria in Gariverto di Piacenza:« .... in Salse maiore puteo uno ubi Brumo dicitur salinare seu et rebus illis in eodem loco, quae mihi obevenerunt per cartulam de quondam Angelberto diacono ».
Nel 
1000 il vescovo Sigifredo (Piacentino) assegna al monastero di S. Savino dodici moggia di sale e settantadue anfore di salamoia. « .... in villa que vocatur Salse de sale annuatim modios duodecim, de muria amphoras sex per unumquemque mensem ». 
Nel 1004  Enrico II, conferma la donazione fatta dal vescovo Sigifredo nell'anno 1000 usando la medesima espressione letterale, che si ripete in un altro diploma del 1048 dell’imperatore Enrico III. Nel 1046 il messo regio Teutemario, in un documento a favore del Capitolo della cattedrale di Parma, annovera tra i beni di proprietà della medesima quelli esistenti in « Salse cum suorum adiacentiis et pertinenciis » Il monastero di S. Savino dava in affitto i propri diritti sulle acque salse per un canone mensile di quattro staia di sale « bello, mondo, ben cotto, stagionato ». Con atto del 1147, 8 marzo, Giovanni del Monte di Salsomaggiore fa oblazione di se e dei propri beni posti in Salso al monastero della Colomba.
Una sentenza dei consoli di Salsominore Giovanni da Budrio e Ottobono Vitali del 13 ottobre 1183 compone una vertenza tra l’abbazia della Colomba e i suoi fittuari, dichiarando che lo staio da sale dev’essere, colmo, come asserivano i monaci e non scarso, come pretendevano gli avversari.  "1183, 19 ottobre. Die mercurii decimo kal. novembris in Salso Minore. Presentia et testificatione bonorum hominum quorum nomina subter leguntur, de lite et controversia que versabatur inter monasterium Columbe ex una parte per fratrem Albertum Alamannum nuntium eiusdem monasterii nec non et ex alia parte Pegolottum et Aginum et Albertum et Jacobum atque Obertinum consortes eius nominative de quattuor sestariis salis quos iamscripto monasterio per fictum reddebant. Unde iamscriptus frater Albertus ex parte iamscripti monasterii dicebat quod predicto monasterio iamscriptos quattuor sestarios salis culmos reddere debent et ipsi contra iamscriptum fratrem Albertum respondebant et dicebant non esse verum quia in carta fleti non invenitur et ipse eis dicebat si in carta fleti non invenitur non ideo minus iamscriptos sestarios culmos reddere debetis quia usus est in terra vestra quod sai ad culmum venditur et alia ficta ad culmum redduntur et ideo nobis iamscriptos quattuor sest. salis culmos reddere debetis. Johannes de Butrio et Ottobonus de Vitali consules iamscripti loci visis cognitis allegationibus utriusque partis et conscilio a sapientibus hominibus liabito et recepto iudicaverunt quod iamdicti fitarisii ab bine in antea iamscriptos sestarios salis predicto monasterio ad sestarium predicti Salsi redderent culmos sicuti est usus in terra quod sai venditur et alia ficta solvuntur. Actum est hoc anno dominice incarnacionis MCLXXXIII, iamscripto die, indie, secunda, fel. Interfuerunt namque testes: Rolandus Verzolus, Otto Balesterus, Albertus de Sapia, Martinus de Butrio, Ugo Balesterus, Johannes de Bonahora. (S. T.). Ego Gandulfus, s. pai. not. interfui et iussione iamscriptorum consulum hoc instrumentum sentencie scripsi."
Nel 1186, 21 ottobre, l’abbate Giovanni del monastero della Colomba dà in affitto a Gerardo del Molino la terra detta del Carretto in Salsomaggiore per 14 staia di grano all’anno. La chiesa di S. Antonino di Piacenza aveva dei diritti su un pozzo e riceveva ventisei staia di sale per canone d'affitto dall'abbate di Chiaravalle. Nel 1199, in Pellegrino, Soleste, moglie del marchese Guglielmo Pallavicino, acquista da Gherardo e da Ugo da Miano la loro parte di un pozzo da sale posto a Salso de Joco, cioè a Salsominore. "1199, 13 novembre. Anno ab inc. dom. nostri Iesu Christi MCXCVIIII, ind. tercia, die veneris, II kal. novembris. In castro Pelegrini in caminata Guillelmi marchionis presencia et testificatione Nicole de Pelegrino, Guidonis de Turelo, Bernardi de Varsi, Burci de Varano, Romani de Branchafura. Gerardus de Miano et Ugo Miano lege romana viventes prò precio quatuor librarum imp. et quinque solidis quos domina Soleste uxor iam (lieti Guillelmi marchionis accepisse manifestaverunt, renunciantes exceptioni non numerati precii, vendiderunt et ad proprium eidem dominae tradiderunt nominative totam eorum partem unius putei de salle positum ad Salsum de Jocho eorum alodii, que eorum parserat octo solei et unum quartarium more (S. T.) Iohannes de Castroarquato not. (Arch. Comunale, Pergamene: Pallavicino e saline di Salso, cop. aut. del sec. XIV)."
Il Comune di Piacenza il 18 aprile 1203 stabilisce una convenzione col prete Alessandro ministro della chiesa di S. Vitale, consenziente il vescovo Grimerio di Piacenza 
per scavare nuovi pozzi e dividere le spese e i prodotti. Vi fu un incremento nella produzione del sale e fu scavato un nuovo pozzo detto della Ruota nel letto del torrente Citronia. Il 25 aprile 1212 il Comune investe a fitto perpetuo gli uomini di Salso di tutte le terre per il canone annuo di quattro soldi alla pertica per la fabbricazione di case da parte di chiunque voglia andare ad abitarvi. Il Comune si riserva di scavare pozzi, fare eriger un castello, costruire dei mulini e tracciar strade. Gli abitanti da parte loro devono cuocere la moja e dare al Comune una mina di sale al giorno. Il 29 marzo 1219 il Comune di Piacenza investe a fitto perpetuo Guarino Alemanno di Salsomaggiore di un pozzo « de petrolico », posto in luogo detto Salmaria con terreno per la costruzione di una casa col canone annuo di libbre quaranta di olio marenco e due staia di sale. Oberto Pallavicino detto il Grande ebbe una lite con vari condomini per il pozzo della Chiara in Salsomaggiore e tutti finirono col rinunciare a lui ogni loro diritto. "1220, 16 luglio. Anno ab ine. dom. nostri Iesu Christi MCCXX, XVI die intrante iulii, ind. octava. In prato ecclesie Salsi maioris iuxta molinum ipsius ecclesie coram Oberto de Agino et Alberto de Sixia et domno Roglerio et Gerardo de Bravo testibus rogatis. Aginus Basus et Chazus de Roberto per se eorumque heredes fecerunt finem et refutacionem et datum et pactum de non petendo in perpetuimi domino Oberto marchioni Pelavicino recipienti suo nomine et nomine fratrum suorum omnium nominatim eie omni iure actione et ratione si quod vel si quam habent in puteo et aqua putei et de puteo qui dicitur puteus de Glarea Salsi maioris et nominatim de omni eo unde dictus dominus Obertus marchio vel alius prò eo litigabat contra dictos Aginum et Chazum et cum commune dicti loci et hoc donationis titulo inter vivos quam nunquam revocali possit ex causa ingratitudinis nec ullo legis auxilio profitentes dicti Aginus et Chazus se iniustam causam fovere. Insuper supradicti fecerunt datum domino Oberto marchioni recipienti suo nomine et nomine fratrum suorum omnium de omni iure reali et personali....; unde ei obligaverunt pignori omnia eorum bona excepto de illa mura et aqua quam ipse Cazus tenebat ad fictum a Sancto Savino in ipso puteo." Lo sfruttamento dei pozzi fatto da più persone portava a frequenti liti tra i figli di Oddone di Scipione, gli Scarpa, i Pallavicino. Nel 1235 si stabiliva che il pozzo Negrello venisse sfruttato in parti uguali i contendenti, il pozzo degli Oddoni appartenesse alla famiglia Oddoni, le case di Pozzo Scuro fossero degli Scarpa e il resto ai Pallavicino. Il 12 marzo 1245 il Comune di Piacenza concede a Gerardo Anguissola i suoi beni in Salsomaggiore col patto che non possa cederli ai Pallavicino, nè ad altri non piacentini, promettendogli protezione e aiuto per scavare nuovi pozzi.
Verso la metà del sec. XIII il Comune si associò con certi Albertino Botto di Alessandria, Ansaldo suo nipote e due fratelli Agino, i quali avevano trovato "quondam venam morre seti aque saline super quondam pedani terre culle posite in territorio Salsi Maioris" presso la Brugnola e vicino al pozzo del Vescovo, intervenendo per metà nelle spese di escavazione del pozzo e dividendo il reddito con essi.
Il march. Manfredo, capostipite del ramo di Scipione, nel suo testamento fatto a Cremona il 27 marzo 1252, ordinava agli eredi suoi figli Guglielmo, Enrichetto, Obertino, Guidotino, Giovanni illegittimo, alle figlie Giovanna, Bellavita, Margherita e a Clara, sua moglie, di restituire dopo la sua morte il maltolto che si potesse riscontrare, sia pure vendendo i pozzi suoi, agli eredi del fu Gualterio e ai figli di Oddone di Piacenza: « .... occasione pactorum seu societatum secum factorum per antecessores eius.... occasione aque Salsi seu mor aruni ipsius aque seu puteorum factorum prò illa aqua vel aliquibus aliis hominibus quod illiid totani reddatur et restituatur eisdem ab heredibus.... »  Alcuni anni dopo, Chiara, sua moglie, a nome dei figli acquista per dodici libbre piacentine tutti i diritti di Giovanni Porcelli sopra un pozzo in Scipione con l'obbligo di fornire sei staia di sale ogni anno al monastero di Predalercie. Rog. del not. Agino da Salso del 15 die. 1256.
Nel 1257 Chiara compra il diritto di sfruttare la moja del Pozzo Grande in Salsominore per quindici libbre e due staia di sale annue. Rog. del not. Agino da Salso, 21 ott. 1257. Più tardi Catelina, vedova del march. Uberto di Scipione, acquista dai nipoti di Tommaso de Grotta i loro diritti sui pozzi Glarea e Ripa in Salsomaggiore con atto del 19 marzo 1308 e quelli dei figli di Pietro Rugarli su alcuni pozzi per ottanta lib. piac. con atto del 12 sett. 1308. 
La contessa Clara madre del marchese Guglielmo Pallavicino, con sua lettera del 1262, dichiarava all’abate di S. Savino: « Presentibus litteris vobis facimus plenius manifestimi quod de XIII modiis et V sestariis salis quem vobis dedimus cum domino Petracio Anguisola bene simus in concordia.... » . 
Morto Manfredo di Scipione, i figli, nel 1263, divisero i numerosi pozzi e le saline ereditate in Salsomaggiore e in Salsominore in due parti, delle quali una toccò ad Enrico e ad Uberto, l’altra a Guglielmo e Guidoto. Alcuni pozzi sui quali verteva una lite coi condomini Scarpa restavano in comune, come pure il pozzo del Gardello, che era tuttora in escavazione. Rimanevano indivisi gli altri beni in Salsominore, Tabiano, Bargone, Scipione, Corticella, Fontanabrocola. Si dichiarava nel medesimo atto di divisione: «....Non liceat alieni predictorum Jratrum nec alieni extraneo cavare aliquos puteos salis sire petrolici » senza consenso dei quattro fratelli. Gli edifici delle fabbriche restavano pure indivisi. Rog. di Franduino de Franduini del 5 nov. 1263. Nel mese seguente i due fratelli Guglielmo e Guidoto divisero i pozzi da sale esistenti in varie località, ottenuti nella spartizione suddetta con gli altri due fratelli, mantenendo indiviso il diritto di estrarre il petrolio. A Guidoto oltre alcuni pozzi pervennero i beni di Tabiano, Bargone, Soragna, Castronovo e altre ville. Rog. di Alberto Arcelli del 17 die. 1263.
 Nel 1270 frate Ugolino Soperchi, massaro del Comune, obbligò il marchese Guglielmo di Scipione a rinunciare a tutti i suoi diritti sui pozzi propri e su quelli che poteva ereditare dai defunti fratelli Uberto ed Enrico per ottenere il condono delle pene in cui era incorso assieme al padre Manfredo per contravvenzioni sui dazi del sale. Il condono presupponeva il consenso alla cessione da parte della madre Clara di Fornello e della moglie Costanza, figlia di Azzo d'Este. Il 26 giugno 1277 la legislazione statutaria piacentina in materia si determina in questo periodo e fissa il principio che il sale delle miniere del suo distretto è una regalia propria, stabilendo che la vendita esclusiva di esso è riservata alla Gabella Comunale. Perciò viene ordinato, sotto gravi pene, che nessuno in Piacenza o nel distretto possa consumare sale non proveniente dalla medesima, introdurne di fuori ed esportarne, mentre i fabbricanti di sale in Salso non possono vendere, donare, prestare la merce ad alcuno. Nessuna persona o comunità può scavar pozzi nel territorio del vescovado di Piacenza. Un judex salis col camerario comunale presiede alla Gabella e dura in carica un anno.
A Parma, nella metà del sec. XIII, il sale non costituiva ancora un monopolio comunale, una compenso nel 1241, inserita negli Statuti del 1255, permetteva a chiunque, anche forestiero, di venderlo al minuto in piazza della Ghiaia. L'introduzione del sale forestiero era favorita, non essendo sufficiente la produzione locale, il sale proveniva da Cervia e da Venezia. Sull'esempio di Piacenza anche Parma aveva cominciato ad acquistare pozzi saliferi a Salsominore e a Bargone e a farne scavare dei nuovi, cercando di vincere la gelosia e la prepotenza dei signori di Scipione, i quali si erano accordati con i consorti di Pellegrino per impedire ad estranei la ricerca di vene saline in quei territori. 
Nel 1270 il Comune di Parma acquistò la parte dei diritti che gli Scarpa avevano sul pozzo delle Noci presso Bargone, cioè solii (solei) 72 di mora o moja al mese e due anni dopo comprò dai signori di Scipione i loro diritti sul pozzo di Pozzolo e quello delle Noci. Solo dopo la vittoria del Comune di Parma su Federico II e l'idebolimento dei Pallavicino Parma si impose sui potenti feudatari. Nel 1298 il Comune di Parma fu costretto a una lunga lotta contro le fazioni capeggiate dai Sanvitale e dai Pallavicini appoggiati dal marchese Azzo d'Este la cui figlia aveva sposato Guglielmo Pallavicino. Quando i Pallavicino assalirono i frati della Colomba e occuparono le saline Comunali, il podestà Folchiero de Cabulo attaccò Bargone e Tabiano e occupò le saline, « Item eo tempore 1298 dictus d. Potestas cum mille de populo, anzianis mesteriorum, capitibus societatum et aliis deputatis, more solito, armata manu, cucurrit Bargonum et domos, vineas et arbores dominar um de Bargono in totum destrusit ; et hoc quia dicti domini de Bargono intraverunt sua auctoritate in domos salinarum Communis et fratres ibi existentes prò Communi expoliaverunt et etiam in Tabiano multas domos destruserunt ». I  Pallavicino furono espulsi e riammessi solo un trattato di pace, ma non rientrarono in possesso delle saline. Nel 1309 ci sono pervenuti diversi documenti; vi è un atto del Re di Francia Luigi XII, bolle e indulti di Leone X, diplomi e convenzioni di Francesco I, Carlo V e Filippo di Spagna,  che contemplano leggi e regolamenti intorno alle Saline e ai boschi dai quali si ricavava la legna per la fabbricazione del sale. Nel 1311 i Pallavicino fecero ricorso per ritornare in possesso delle saline a Guido da Cocconato vicario imperiale di Enrico VII di Lussemburgo signore di Parma, Enrico dichiara che non intende rivendicare i diritti sui pozzi e saline, che ritornano in parte ai Pallavicino con una sentenza del 18 settembre 1318La modifica di una legge dell'11 novembre 1317, afferma che molti pozzi furono da «alcuni» sottratti al Comune « propter guerras ». I pozzi in fine di questa sentenza sono elencati come segue: « Ad Salsum de Jocho : puteus Maior, puteus de Bodriis, puteus Pocachara, puteus de Abatissa, pucolus qui est subtus solameli domus, puteus de Borris ; ad pugolum de Nucibus: puteus de Salice, tres putei qui sunt inter Glarcam et Brugnolam : ad rivuoi de Centum puteis : puteus Guarini, puteus de Nigrello : ad pucolum Scurum : puteus novus quem fecit fieri dominus Ubertinus de Brixia, puteus de Albara, puteus Novus, item puteus Novus, puteus de Domo veteri, puteus Gastaldorum, puteus panis perduti, puteus qui est ante domum veterem, puteus de Torello positus post dictam domum qui appellatur Stalonus, puteus de Fontana, puteus qui appellatur Baroni Aceri, puteus quem fecit fieri l bertus sire Ubertinus ». Una miniatura del XIV secolo raffigurante i trentun pozzi del Comune di Parma è conservata nell’Archivio di Stato. Una serie di provvedimenti venne preso dagli Anziani il 17 dicembre 1318, relativi alle saline; si cercò di aumentare il reddito del sale, pulire i pozzi, costruire fabbricati, diminuire le tasse agli uomini addetti alle fabbriche, per cui molte famiglie erano costrette ad emigrare. Si vietava a chiunque di ospitare persone già dimoranti a Salsominore, al Pozzo della Noce, a Centopozzi, a Pozzoloscuro fino alla distanza di un miglio da detti luoghi sotto pena del bando e della confisca dei beni. Vengono comprati nuovi pozzi e si obbligano i boscaioli a portare la legna alle saline. Si minacciava pene a coloro che ostacolavano la produzione del sale. I Salsesi non possono vendere terreni saliferi ai forestieri; possono scavare pozzi nei fondi propri a condizione però che i due terzi della moja della nuova sorgente appartenga al Comune, il quale sostiene a metà col proprietario la spesa fatta nei lavori del pozzo. Quando si introdusse il monopolio del sale a Parma e Piacenza, la distribuzione era a secondo del numero dei famigliari. Sotto il dominio Visconteo la distribuzione avveniva per persona e secondo i beni posseduti da ogni famiglia. La tassa divenne sempre più gravosa perchè oltre a rincarare il prezzo del sale, la distribuzione avveniva sia su un numero presunto di bocche sia in base ad una stima non sempre equa dei beni e del bestiame. A Parma e a Piacenza, nel sec. XIV, si dava in appalto per uno o più anni la gabella del sale per mezzo dell’incanto. Il « conductor dacii doanae salis » riceveva direttamente dalla Camera il sale da distribuire alle ville ricevendo un interesse sugli introiti. L’ingordigia degli appaltatori rendeva ancor più gravosa e odiosa la tassa del sale. Gli uomini delle ville di Salsomaggiore, Salsominore, Bargone, Scipione e località limitrofe erano tutti addetti alle saline, per il taglio dei boschi, l'estrazione, la cottura dell’acqua, il trasporto della merce e per la manutenzione stradale. Erano mal pagati e carichi di imposte, multati se non producevano il quantitativo di sale giornaliero fissato, erano spesso costretti ad abbandonare il lavoro e il paese nativo. I Pallavicino, gestori delle fabbriche per conto del Comune, sollecitavano Parma e Piacenza per sollevare i gli operai dalle tasse. Nel 1294 il Consiglio Generale di Piacenza riconosceva l’immunità da ogni gravezza reale e personale ai Pallavicino e agli uomini di Salsomaggiore. Nel 1343 gli uomini di Bargone, circa 150 in tutto, chiedevano al Comune di Parma l’esenzione da ogni gravezza reale e personale già posseduta fino al tempo della cacciata di Mastino della Scala. Chiedevano inoltre che la Comunità costruisse per loro case buone e sane come. Gli Anziani approvarono la richiesta promettendo anche l'esenzione dalle multe per insufficiente produzione, solo però nel caso di guerra. Manfredo Pallavicino nel 1354 chiedeva a Parma la conferma dell'esenzione dalla tassa dei cavalli per gli uomini della Grotta di Salso. Con decreto del 6 settembre 1354 l'arcivescovo Giovanni Visconti
riconosceva ai Pallavicino di Scipione e ai loro uomini l’esenzione da qualunque dazio, dalla tassa del sale e degli alloggiamenti dei cavalli per compensarli dell'onere di fabbricare il sale per la Camera ducale. Nel 1421, il duca di Milano accoglieva la supplica del marchese Pietro Pallavicino, che dichiarava di non poter dare alla Camera il quantitativo di sale pattuito se agli uomini suoi non fossero restituite le loro immunità tolte dopo la presa di Scipione da parte di Ottone Terzi « qui iura omnia ipsius Petri derubavit et exportavit». Nel 1559 Ippolita Pallavicino Sanseverino, erede dei pozzi di Salsomaggiore appartenenti ai marchesi di Scipione, ottenne da Ottavio Farnese conferma degli antichi privilegi e venne esonerata dall'imposta straordinaria sui grani. Poiché i gabellieri ducali erano esosi e contestavano frequentemente dette immunità i ricorsi degli interessati ai duchi erano numerosi ed altrettante erano le conferme delle medesime. Oltre le immunità suddette, per incoraggiare la produzione e l’escavazione di nuovi pozzi, i Comuni che istituirono il monopolio concessero ai proprietari delle saline e dei boschi delle onoranze di sale. Esse consistevano nella cessione a prezzo di fabbrica, cioè da sei ad otto soldi per peso, della quantità di sale necessario al consumo della famiglia e del personale dipendente. Il sale dato come onoranza era accompagnato da una bulletta di libero transito. Così il marchese Rolando Pallavicino padrone del pozzo già degli Albizzi, poi detto della Rota, avendo incontrato gravi spese nei miglioramenti al suo pozzo, che aveva raddoppiato il quantitativo d’acqua, ebbe in compenso, nel 1489, dal Camerario di Milano un aumento dell’antica onoranza, che da staia 32 era portata a 48 annue. Tali onoranze fin dal sec. XVI furono concesse anche ad alcune comunità religiose per il consumo della propria famiglia. I Pallavicino contendevano i boschi sia ai proprietari dei pozzi sia al Comune di Piacenza e di Parma. Le disposizioni relative ai boschi, furono fissate da un decreto del duca di Milano Gian Galeazzo Sforza, nel 1486. Nessuno può tagliare i boschi per sei miglia intorno a Salso, se non per servizio e per ordine del Commissario dei medesimi. Il bestiame non può essere introdotto a pascolare nei boschi delle saline. Le pene per i contravventori sono rimesse al Commissario anche trattandosi di feudatari. 
Il re di Francia Luigi XII nel 1509 portò da sei a dieci le miglia dei boschi a servizio delle fabbriche. Ordinava ancora che tutti i proprietari di questi denunziassero il proprio perticato, nonostante la misurazione fatta nel 1499. Aggiungeva che dopo quest’ultima erano stati tagliati i boschi appartenenti al conte Francesco Scotti, a Lodovico Fogliani, al marchese Orlando Pallavicino e specialmente ai frati della Colomba. Questi dovevano abbattere i cascinali e le case costruite nei loro boschi posti nella valle di Cangelasio e ridurre a bosco, a loro spese, il terreno reso coltivo. Si faceva divieto ai Capitani ducali di alloggiare gente e cavalli nei luoghi di Salso e Scipione e recar disturbo agli uomini addetti ai boschi e alle saline. Sotto i duchi Farnese i boschi riservati alle fabbriche furono per otto miglia di perimetro limitati e contrassegnati da 228 colonne; la loro misura era di circa pertiche 50.000. Essi furono descritti dal geometra ducale G.B. Osio nel 1779.  Ottavio assoggettò quasi tutte le saline alla Camera Ducale, attuò nuove riforme e creò un Commissario Ducale a presiedere le saline e i boschi.
Da una delibera del Consiglio Comunale del 10 11 12 d’aprile 1559 che "raccolti in palatio de Rationis et juris multum Magnificae, Comunitatis Salsi", stabilivano di chiedere al duca Ottavio Farnese, "la plenaria et estesa riconfcrmatione di ogni et singoli privilegi et indulti et esentioni ecc. conceduti et dati alla, molto magnifica Comunità et uomini di Salso in diversi tempi", per mantenere, come si legge nel verbale di quel solenne raduno dei possidendi e rappresentanti della Castellanza e distretti di Salso, "sempre e poi sempre legittimi et illesi i boni diritti et ragioni et giuste consuetudini et usi" che si erano goduti ed osservati nei rapporti fra il popolo e le signorie succedutesi nel corso dei secoli. Tra queste famiglie comparivano Antonio e Genesio Zancarini, un Pietro Busani, un Giovanni e Cesare Bussandri. C'era un elenco di 508 privilegi decretati da Pipino, Bernardo re d’Italia, Lodovico Pio, Lotario, Lodovico II, Carlomanno, Guido, Arnolfo, Berengario Ugo, i tre Ottoni imperatori, Arrigo II, Corrado III, Bonifacio d'Este, Contessa Matilde, Federico Barbarossa, Federico II, dai Visconti e dagli Sforza di Milano, da Luigi XII e Francesco I di Francia, dai Papi Adriano VI, Clemente VII, Paolo III, sino a Pier Luigi Farnese e Filippo II di Spagna. E Ottavio Farnese confermò i privilegi e le esenzioni antecedentemente concessi alla Castellanza di Salsomaggiore, incamerando a vantaggio dei suoi Stati i pozzi saliferi. 
Nel 1579 il Duca Ottavio Farnese mandò Camillo Boselli e Giuseppe Torricella, il primo Commissario Ducale di Salso, il secondo impresario delle saline a Salisburgo per apportare le prime modifiche per migliorare l'estrazione del sale. I successori di Ottavio innalzarono edifici e Ranuccio I nel 1603 fece costruire un acquedotto che partiva dalla Brugnola, dove si trovavano i pozzi, per portare l'acqua alle saline, che si trovavano vicino allo Stabilimento Vecchio. L’acquedotto era formato da 76 archi e circa 700 braccia di lunghezza, fu costruito con i materiali della distrutta Rocca di San Donnino. Negli anni a seguire continui furono i miglioramenti. Sempre per migliorare la qualità e l'estrazione del sale, nel 1763 Don Filippo Borbone mandò a Salso il chimico Gaetano Ferrarini, nel 1784 fu mandato il prof. di matematica Don Giuseppe Calamari, Giovanni Uldrici speziale di Corte nel 1787, il farmacista Antonio Piazza nel 1794 il prof. Giambattista Guidotti nel 1805, ma non vi furono sostanziali miglioramenti. Nel 1805 il governo francese abolì le convenzioni dei governi precedenti coi proprietari dei pozzi e dei boschi e le saline passarono sotto la direzione e l'amministrazione della Regìa dei sali e tabacchi,che ne esercitò liberamente il dominio e la gestione. Il governo francese abolì pure, assieme al sistema fiscale vigente, la pena detta della Ruota con decreto del 12 novembre 1810. Allorché anticamente fu applicata una grande ruota di legno per l’estrazione dell'acqua dal Pozzo Grande in Salsomaggiore si adibirono dei condannati a pene gravi per metterla in azione. Una decina di malfattori era condannata a questo lavoro forzato a tempo o a vita. Per essi in prossimità del pozzo fu costruito un edificio ad uso di ergastolo con annesso un oratorio. L’opera degli ergastolani fu allora sostituita da quella di contadini volontari e rimunerati, con danno dice il maire di Salso d’allora, Giuseppe Antonio Menghini, dell’agricoltura del luogo. Il Menghini scrive a proposito del pozzo della Ruota: «Da quel pozzo scaturisce pure dell’olio petrolio detto di sasso che viene raccolto nel tempo dell’estrazione dell’acqua salsa con pelli pecorine dai caporali, il qual petrolio è di grande attività ed ha della stima per alcuni rimedi... e per l’addietro aveva un gran grido presso segnatamente ai contadini. Esso serve continuamente per la fabbricazione del sale di notte con grandi lucerne di ferro e la sua attività ha portato alle volte delle funeste conseguenze nel farlo ardere senza le dovute precauzioni, come successe il 15 gennaio 1681 ad individui che con una di dette lumiere appiccarono il fuoco all’olio che resta alla superficie dell’acqua del medesimo» 
Carlo III di Borbone fu il primo che concesse le Saline al residente Ducale, e il Conte D'Adhèrmar fu il primo concessionario nel 1850. Nel 1852 il sale si otteneva mettendo ad evaporare l'acqua sul fuoco, l'acqua veniva raccolta nei serbatoi, poi messa in caldaie in ferro sopra a dei fornelli dove veniva fatta evaporare. Il sale veniva depurato con il sangue di bue, poi con l'albume d'uovo. Le ultime modifiche furono di togliere l'ossido di ferro con la calce che rendeva più bianco il sale. Furono costruite sei padelle per l'evaporazione del sale, ogni forno scaldava due caldaie, una di preparazione, che veniva alimentata con il calore perso, l'altra a fuoco diretto. L'acqua madre che risultava dalle evaporazioni veniva raccolta in recipienti dove rimaneva cinque o sei giorni dove perdeva la maggior parte del cloruro di sodio e tornava limpida come l'acqua dei pozzi. Quest'acqua passava poi in serbatoi più grandi e veniva utilizzata nello stabilimento balneare. Il Conte D'Adhèrmar perforò un pozzo artesiano, che prese il nome di Balatrone, ma in seguito fu costretto ad abbandonare il paese per dei problemi tecnici e per dissidi con il Duca. Al tempo degli Stati Parmensi fu nominato Concessionario delle Saline il marchese Guido Dalla Rosa, che nel 1860 fu confermato dal Governo Italiano, carica che tenne fino al 1875. Il contratto gli fu poi rinnovato per altri 50 anni e fu costituita la Società delle Regie Saline e Bagni. Con l'aumento dei curanti lo stabilimento vecchio fu ampliato ed alcuni antichi edifici vennero abbattuti. Alla costruzione dello stabilimento Berzieri i rimanenti edifici delle vecchie Saline furono demoliti. Due alti fumaioli, uno quadrangolare, il più antico, e l’altro cilindrico permettevano di riconoscere la posizione delle saline. All’interno vi erano grandi fornelli a carbon fossile, su ciascuno dei quali era posta una caldaia di ferro nella quale veniva mandata l’acqua salso-jodo-bromica, che poi veniva fatta bollire. Il conte D'Adhèmar utilizzò nuovi sistemi per la fabbricazione del sale, che però non diedero i risultati sperati. Successivamente il Marchese Guido Dalla Rosa introdusse il metodo "Green" col quale si otteneva un sale bianchissimo. L’acqua salo-bromo-jodica trattata con calce veniva fatta bollire per dodici ore. Il sale era bianco e minuto e lasciva un residuo liquido molto carico di bromuri e joduri “acqua madre”. Nel Laboratorio Chimico, diretto dal Dott. Cav. G. Cavezzali, venivano confezionati i prodotti delle Regie Saline e dei Bagni. 

Tratto da:
Il Parmense e le sue Stazioni Balneari Salsomaggiore Tabiano Sant'Andrea 1899 Battei
Guida storica medica e pittorica di Salsomaggiore e Tabiano Giovanni Valentini 1861
Salsomaggiore Tipografia Francioni 1900
Guida di Salsomaggiore Tabiano e dintorni Mattioli 1905
Salsomaggiore 1° centenario delle cure 1839-1939

 

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