Dina Barberini - Soprano Dina Barberini - (Tabiano Terme, 17 marzo 1862 – Milano, 26 dicembre 1932) - Soprano - Brigida Barborini, questo il vero nome, era una giovinetta dotata di una bella voce e si dice fosse stata consigliata da Verdi, che si curava con le acque a Tabiano, a studiare canto.

Si iscrisse a Parma nella società per l'insegnamento gratuito del canto corale dove si distinse al punto che il 14 febbraio 1881 il Consiglio Direttivo le accordò un sussidio di 50 lire "una volta tanto quale sovvenimento per recarsi a Milano a compiere gli studi di canto ai quali, per sue doti grandissime, è portata dando sicura aria di pronta riuscita". Non disponendo la famiglia d'origine dei mezzi necessari, una signora milanese, in cura alle terme, la ospitò a Milano e la iscrisse al Conservatorio della città sotto la guida di Teresa Brambilla. Nel 1880 debuttò giovanissima nel Faust a Novara, iniziando una carriera che la portò nei migliori teatri in Italia e all'estero: Milano, La Spezia (1888, Aida), Torino (Teatro Regio, 1889/90, Gli Ugonotti), Genova (Teatro Carlo Felice, 1895, Tannha|ser; Politama Genovese, 1896, Aida), Lisbona, Oporto, Madrid, Barcellona (Gran Teatro del Liceu, nov. 1889, Francesca da Rimini di Antonio Cagnani), Zagabria (3 anni), Budapest (3 anni), Pietroburgo, Mosca, Odessa (cagionevole di salute, qui nel 1890 dovette interrompere la scrittura). Fu anche interprete in concerti di musiche da camera al Teatro Reinach di Parma il 30 maggio 1910. Terminò la carriera a Montecarlo. Si ritirò dalle scene stabilendosi a Milano, dove, per sua volontà, fu seppellita nel Cimitero Monumentale.

Salsomaggiore cronache - Settembre Novembre 1982 - Mezzo secolo fa, che si compirà esattamente il 26 dicembre di quest'anno, si spegneva, «come face al mancar dell'alimento», per citare il poeta, la voce prodigiosa del soprano Dina Barberini, nata a Tabiano il 7 marzo 1862. I suoi coltivavano la terra, avara a quei tempi, dato che ogni podere era per metà bosco e il resto erano appezzamenti a cereali, fieno e filari di viti, per di più in collina. Lo stabilimento per le cure solforose stentava a vivere, affidato dagli Ospizi Civili di Borgo San Donni­na a Francesco Pandos, fino a che l'Ente fidentino si decise a vendere tutto il complesso. Fallito un tentativo di costituire una società per azioni, si fecero avanti i fratelli Pandos, i quali si erano già assicurata la proprietà dell'Albergo Grande (oggi Albergo Giuseppe Verdi) ed ebbe inizio un periodo nuovo con iniziative di aggiornamenti, destinati a potenziare la parte balneare e quella recettiva.La futura artista del ben canto ebbe un 'infanzia ·ed una fanciullezza in una famiglia campagnola, dai sani principi morali e dalle tradizioni antiche, un ambiente ideale per far sbocciare dalla sua ugola i primissimi tentativi di acerbi acuti in una voce bianca da ragazzina. Un tempo, ormai passato del tutto, in campagna si amava cantare spesso e i cori erano formati da tutti i timbri di voce di un nucleo familiare, quando non si organizzavano tra vicini riunioni in determinate occasioni. Così in certi poderi di poche biolche, al raccolto della melica, si provvedeva alla spannocchiatura «a mano», chiamando specialmente i ragazzi del vicinato, a rafforzare quelli di famiglia. Si iniziava dopo il tramonto sull'aia, e la simpatica baraonda cessava alle ore piccole, talvolta al chiar di luna, quando l'operazione era finita e quando non si aveva più voce. Infatti si cantava un repertorio di belle canzoni campagnole, in tono maggiore e a due voci e la piccola Dina emergeva sopra tutto il coro.

Il mese di maggio impegnava le famiglie, naturalmente dopo il tramonto, a raccogliersi attorno a qualche «maestà», come sono ancora chiamate quelle cappellette votive, dedicate per lo più alla Madre di Dio, che ancora si trovano nelle campagne emiliane. Si recitava il rosario e infine si cantavano coralmente le Litanie della Madonna. L'acuta voce della Barberini si distingueva, specialmente per chi ascoltava quella preghiera canora da lontano.
Da qui alla parrocchia il passo fu breve. Il prevosto don Giuseppe Canossa la volle sentire meglio, avendo notato quella inconfondibile voce nei canti della liturgia, cui anche il popolo in chiesa prende parte. Ne fu entusiasmato e avendo in gestazione un coro di giovani della parrocchia, divenne il primo maestro di canto del nostro soprano, inquadrandola senza fatica e affidandole gli «a solo». Nelle ricorrenze festive del calendario liturgico la gente si estasiava a sentire cantare la Barberini e i primi a gustarne la voce furono proprio i campagnoli della sua Tabiano.
Ho dovuto di proposito introdurre questi cenni biografici su Dina Barberini, parlando della sua primissima giovinezza come «bella voce» piena di promesse, perché fu proprio il fatto di far parte della corale della sua parrocchia a muovere il destino a suo favore, verso gli alti cieli di una carriera sublime nel mondo della lirica. Lo strumento umano di questa predestinazione fu Giuseppe Verdi.
Dina Barberini - SopranoÈ noto come il Maestro, che soffriva di bronchi, frequentasse allora Tabiano per un periodo di cure, alloggiando all'Albergo Grande. Quando Maria Luigia ebbe a ordinare la costruzione di questo albergo, volle che venisse compresa anche una cappella, che venne consacrata, per cui don Canossa nei giorni festivi scendeva da Tabiano Castello per celebrarvi la Messa ed amava farvi cantare il suo complesso parrocchiale. Naturalmente gli «a solo» erano riservati alla Barberini. Verdi una domenica, mentre il nostro soprano in erba eseguiva le sue battute si concentrò su quella voce e terminata la Messa volle vedere la ragazza. Figuriamoci l'emozione del parroco, che parlò a lungo della sua corista e il Maestro fece ripetere alla stessa quello che aveva da poco sentito. Don Canossa si fece coraggio e chiese a Verdi se la ragazza aveva i mezzi per diventare una vera cantante. II giudizio fu spontaneo e soprattutto positivo e tutti sanno come il Mestro non fosse tenero in materia ed è inutile aggiungere che di canto se ne intendeva. «Bisogna farla studiare, anche se costerà sacrifici ai suoi genitori. Non sarà danaro speso per niente».
Giuseppe Verdi fu così lo «starter» provvidenziale, che diede il via alla carriera della Barberini. Venne mandata al Conservatorio di Parma, per passare sotto la scuola di Teresa Branbilla di Milano. Il suo debutto a soli 19 anni, nel maggior teatro di Novara, assolvendo egregiamente il ruolo di Margherita nel «Faust» di Gounod, dimostrò che Verdi aveva visto giusto. Dopo parecchi anni il Cigno di Busseto ebbe modo di incontrarsi con la Barberini, senza averla mai sentita sulle scene prima d'allora, pur sapendo che aveva cantato nell'Aida. Tutti soli, allontanando i presenti, Verdi si mise al pianoforte, aprendo lo spartito al terzo atto di quest'opera. La Barberini cantò tutti i pezzi spettanti alla sua parte. II grande compositore riassunse, come l'artista amava ricordare, il suo «voto con queste parole: «Così si canta in Paradiso».
La sua carriera fu come uno splendido arcobaleno, esibendosi in decine di teatri di tutta Europa, con un vastissimo repertorio di spartiti, creati da autori che andavano per la maggiore, di cui alcuni suoi contemporanei, osannata dalla critica specializzata della stampa internazionale; amava conservare questi articoli, che divennero una raccolta assai nutrita e ne godeva la lettura, quando ebbe a ritirarsi dalle scene.
In Italia, ricordiamo il suo successo negli «Ugonotti» di G. Meyerbeer a Torino, durante le stagioni 1889 e 1890 e fu Elisabetta nel Tannhauser di Wagner a Genova nel 1895. All'estero, basta ricordare i tre anni di stagioni all'Opera di Budapest, in Portogallo. Ad Oporto, fu protagonista nell'Ebrea di Framental Halévi, a Barcellona nella Francesca da Rimini di A. Cagnoni e a Odessa cantò nella verdiana «Aida» e nell'opera «Ebrea». Venne applaudita a Vienna, mentre in occasione dell'incoronazione dello Zar cantò a Pietroburgo. Arrigo Boito la preferì nella sua opera «Mefistofele» e infatti la guidò personalmente nello studio dello spartito, estasiato della sua interpretazione musicale e della sua scena.
La carriera artistica ebbe ad assicurarle una vecchiaia senza preoccupazioni economiche, permettendole un tenore di vita assai decoroso. È un vero peccato che della sua voce non abbiamo nessun saggio registrato; le incisioni in disco erano allora limitate agli esperimenti tecnici. Ci si deve accontentare delle relazioni giornalistiche firmate da critici specializzati, per avere una pallida idea delle armonie uscenti da quell'ugola d'angelo. Inizio col riportare alcuni squarci da un «pezzo» di un giornale di Oporto, in occasione della stagione musicale del 1895, inaugurata con l'Ebrea, protagonista la Barberini, tenore Cignani e basso Nicoletti.
« ... la signorina Dina Barberini è un'artista tanto intelligente, quanto distinta. Il più delicato e il più fine metodo di canto è in essa uno splendido dono naturale. Da molto tempo il pubblico non ammirava e non applaudiva un soprano con una voce dal timbro così simpatico, dall'emissione così facile, così naturale e con una simile estensione di registro vocale, che va dalle note gravi robustissime alle note più acute, d'una fermezza e d'una limpidezza incantevoli. La sua fisonomia simpatica e animata da grandi occhi neri fascinatori, è efficace aiuto a riprodurre e comunicare nell'animo del pubblico le emozioni, che l'artista sente e sa far vibrare all'interno. Essa strappò intensamente gli applausi più calorosi nel finale del 2° atto, ma ebbe acclamazioni alla fine di ogni atto dal pubblico elettrizzato, che decretò il più meritato dei trionfi a questa artista impareggiabile, a questa cantante perfettissima».
Il critico teatrale del «Corriere Mercantile» di Genova così scriveva nel dicembre del 1895, dopo l'esecuzione al «Carlo Felice» del Tannhauser di Riccardo Wagner. Dirigeva una bacchetta prodigiosa, Arturo Toscanini: «L'esito fu splendido e degna di ogni lode fu l'esecuzione di tutti gli artisti e di quella mirabile orchestra che sotto l'abilissima direzione d'un artista eletto come Toscanini ha raggiunto la massima perfezione. Un nuovo ed ottimo acquisto fu altresì il soprano Dina Barberini. Alla voce robusta, estesa e squillante, che si piega alle espressioni più soavi, unisce la grazia della gentile persona ed un ottimo metodo di canto. Essa strappò l'applauso alla canzone che apre il primo atto e alla preghiera dell'ultimo. La parte non è certo la più adatta a scuotere l'uditorio, ma la distinzione dell'arte sua ed il calore· che vi infuse la resero degna del plauso ripetutamente tributatole».
La «Gazzetta teatrale» di Oporto, dove nel gennaio 1896 la Barberini trionfò nella verdiana «Aida. le dedicò un commento tra i più lusinghieri, di cui seguono alcuni periodi:
«L'aria del 1° atto, Vincitor del padre mio , fu un vero gioiello, eseguita in modo impareggiabile. La potente e straziante situazione drammatica fu tradotta dalla prima distintissima donna con un accento di verità e con uno scrupolo di espressioni indescrivibile. L'aria del III atto « O patria mia, mai più ti rivedrò elettrizzò realmente la platea. Al duetto finale dell'opera, in questa pagina sublime di ispirazione, se Verdi, il gran patriarca della musica, fosse stato in teatro, avrebbe abbracciato la grande artista, che seppe commuovere fino alle lacrime».
Quando lasciò il teatro, lo fece con discrezione, per non dire con umiltà, iniziando una vita ritirata, paga di quanto aveva dato all'arte, alla quale consacrò tutta sé stessa, rinunciando persino a farsi una famiglia. La sua bellezza femminea, con un carattere meraviglioso, ne faceva una donna attraente. Invano il conte Andrassy a Vienna ebbe a chiedere formalmente la sua mano e furono i suoi ricordi di soprano a riempire gli anni del suo tramonto. Sin da ragazza si era promessa al «Demone» dell'arte, che sposò il giorno del suo debutto, restandogli fedele tutta la vita.
Nel marzo del 1909 non se la sentì di rifiutare un invito di cantare per beneficenza, in occasione dell'inaugurazione del dormitorio per i poveri, che si svolse in quel Conservato­rio, dal quale molti anni prima aveva spiccato il volo verso un' autentica gloria artistica. Nella cronaca di Mi­lano il Corriere della Sera; ebbe così modo dì parlare ancora di lei e fu l'ultima volta che la stampa ne esaltò la bellissima voce, con cui diede vita a tre brani lirici, un'aria dalla Dama di Picche di Tschaikowshy, un'aria dell'opera Friedmann-Bach del Fazio e la Nenia dal Mefistofele. Venne rispettata la sua volontà di essere sepolta al Monumentale di Milano. A dettare l'epigrafe fu una persona amica, il magistrato che reggeva la pretura di Rho.

Nino Denti

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