Calestani Jacopo  (15 luglio 1778 - 25 Dicembre 1845) -  sacerdote

Nato il 15 luglio 1778 a Borgosandonnino, da giovane si adoperò nei lavori manuali. Fu notato da un monaco che ben conosceva le doti del ragazzo. Vestì l'abito clericale non ancora compiuti i quattordici anni e fu ordinato prete nel 1802.

Nel 1814 dopo essere stato economo per circa un anno, divenne parroco della chiesa di Tabiano Castello. "Statura comune; membra in apparenza asciutto, agevoli al fare: carnagione scura: fattezze poco meno che agresti; aria di viso aperta, sicura, e insieme amorevole: occhio nero, vivo, eloquentissimo; andar ratto, quasi d’uomo affannato a compir suo proposto: voce soda, sempre colorata dal sentimento che la inspirava, vestir semplice e d’ordinario negletto: modi naturali, benevoli, ma pronti a sorger alto e a pigliar fiamma contro il prepotente o il ribaldo: parlare non mài nè ricercato nè obblìquo, talchè rivolto alcuna volta a Personaggi eminenti lo avresti detto un poco fuor di misura, se quelli avessero potuto reputare irriverenza ciò che era franchezza d’animo conosciuto generalmente".
Con queste parole il prof. Michele Leoni, delinea i caratteri di Jacopo Calestani e lo descrive anche per le prove di carità, di abnegazione, di coraggio civile. " Chi pigliasse, dic’egli, a narrare le prove di carità e di zelo date da esso nel giro di più che trent’anni, renderebbe chiaro come ancora in tempi quasi non ad altro intesi che a cure sottili e ai guadagni, venisse suso da una cuna tutta volgare uno spirito benevolo, il quale, non educato a esempi grandi, e non provveduto di alcun bene nè dall’industria, nè dalla fortuna, seppe nondimeno condursi a tanto da non saper vivere che per altrui.
Non ritenuto dal disagio delle stagioni e delle distanze, vegghiante al bisogno e ai travagli della sua gente, fu visto non di rado, massime nelle annate di fame (1816, e 1817) correr cupido qua e là a ristorare un qualche infelice col suo proprio, che poi mancò più di una volta al suo digiuno; e torsi di dosso ancor la camicia a fine di coprire la nudità di un mendico: e ricondursi in sue case in pedule dopo aver ceduto le scarpe a un tapinello che rotto dal gelo, temea di non poter compire sua strada.
Nè da somiglianti esercizii pietosi uscì egli sempre mai fortunato.
Al merito dell’ opera si aggiunse in esso alcuna fiata ancora quel dei pericoli che affrontò. Imperocché in una giornata di fitto, rigidissimo inverno, venendo egli da una di siffatte opere di misericordia, affranto dal cammino e dalla fatica, a certo passo un po’ scabro, si affondò nella neve.
E quivi sarebbe forse rimase impotente a rimettersi in via, se la mano di un vigoroso, scosso al lamento della sua voce, non si fosse stesa a trarnelo fuora, e ad aiutarlo al ritorno. E qual mai più di lui pose studio a ridurre a concordia gli animi nutriti dal fiele delle nimistà e degli odii? Massimo esempio e vergogna di quelli (per fortuna ben pochi) i quali, diputati a ministeri d’amore e di pace, assottiglian talvolta l’ingegno a concitare o a tener vivo il contrario. Qual altro ebbe meglio l’interesse a vile, quel supremo dominatore degli ingordi ancora del troppo?
Non fu egli veduto più di una volta il buon Prete ricogliere qua e là danaro a prestanza, e tutto lieto nella trovata fede, muovere affannoso con esso a mitigare le strettezze del suo popolo nell’infermità, e nell’inopia? E chi vorrebbe credere, che dopo assunti simili obblighi (e in parte durano tuttavia) essendo egli stato da due Parrochi vicini, quello della Pieve di Cusignano Don Pietro Bernini nel 1817: l'altro di Cella Costamezzana Don Pietro Fedeli nel 1821, non ignari del suo bisogno, e del suo cuore, nominato in varii tempi erede di due grossi poderi, corresse tosto a pregare con forza (e non fu senza frutto) quello che ancora era vivo, di rivolgere un tal atto di benevolenza ai parenti suoi proprii, e cosi, consentendo aver esso quel merito che ad ogni modo si sarebbe voluto procurar egli negando? e non potendo fare d’egual modo coll’altro che già era in tomba, vendesse tosto il terreno lasciato, usando poscia del prezzo a suffragar l'anima del testatore?
Nè men caldo e pietoso si mostrò il cuore di lui, quando il Cholera cacciossi a distender sue ruine fino a noi. Non tenuto indietro dal contagio, del quale non si dava cura, non dalla miseria di quelli, che o tocchi di poco dal morbo, o morenti, voleva pur confortar di parole o di mano, egli si consacrò tutto all’amara condizione del tempo, e ne usci salvo e lodato. Nella qual occasione non isdegnò nè pure i più umili ufizi.
Imperocchè, abbattutosi un giorno in su la Via della Costa, nel cadavere di un disgraziato, fulminato forse poco innanzi dal male, si volse di subito a procurare la bara. E non avendo pronti al carico che soli tre uomini, entrò egli il quarto, insieme portatore ed orante.
Nè le prove di umanità generosa furono nel Calestani sempre materiali, o sol mosse quando se ne offeriva l’impulso, chè l'esercizio del bene era in esso non men natura che usanza.
E qual potesse porre ad agguaglio la presente condizione delle famiglie de' suoi parrocchiani con l’altra in cui le trovò, vedrebbe per fermo che frutto può trarre un Pastor vigile e buono dalla fiducia che si meritò: e come i morali procedimenti siano da aspettar meno dalla farragine degli interessi che non dalla queta semplicità della vita.
Dal qual intento era egli sovratutto governato in riguardo ai fanciullini, sua cura massima cosi rispetto al costume, come a quel poco d’istruzione che stimava loro necessaria a ben vivere. Nel che, avuta considerazione a sua tempra piuttosto viva, e pronta, si rendeva più che altro notevole la benignità del modo.
Nè mai trascorse solo una volta a usar seco motti o duri od abbietti, e ancor meno le mani, Usanza da riprovar forte (eppure dei tutto quà e là ancora non tolta), essendoché, aspreggiandone l’indole, commove in que’ teneri petti non so » che avversione e stizza e poco stima di sè, che li portan da ultimo a ripercuoterle in altri.
Ritroso a' tutto quanto poteva tornar grave od incommodo a’ suoi popolani, non d’altro generalmente provvisti che del necessario, il Calestani si ritenne mai sempre dall’ impegnarne il concorso fin anche in ciò che riguarda i bisogni della Chiesa, che pur gli era si a cuore.
Però solea trar da sè solo, fin dove ne potean giungere le forze o le privazioni, quanto avessero per avventura richiesto la decenza e il servigio. Ond’è che, assottigliato ancora nel poco e da ciò, e dai sovvenimenti a cui lo traea la carità sempre viva, fu ridotto da ultimo ad essere sfornito di ogni cosa. Talché Morte lò salvò almen dal dolore di non poter fare di più." 
Morì il 25 Dicembre 1845 di polmonite. Giovanni Valentini ne raccolse le ultime parole, e l'estremo respiro. A destra della porta maggiore della chiesa di Tabiano castello c'è un umile fossa coperta di mattoni e una croce. Scavarono quella fossa gli umili e riconoscenti parrocchiani.
I tabianesi aprirono una sottoscrizione per erigere al loro Padre una lapida che ricordasse ai posteri le molteplici beneficenze di lui, e la loro gratitudine. La lapida fu posta nell’interno della chiesa a destra, entrando, e sopra vi furono incise le seguenti parole:

A JACOPO CALESTANI
CHE IN XXXIII ANNI DI PARROCCHIALE MINISTERO
FU AI TABIANESI AMICO E PADRE
SOCCORRENDO LORO CON ANIMO FRANCO E LEALE
IN FLAGELLI DI CONTAGIO DI FAME DI MILITARE LICENZA
INGENTILENDONE I COSTUMI
ILLUSTRANDO IL CONTADO
IL POPOLO DI TABIANO
IN RICONOSCENZA AI MOLTI BENEFATTI
PER DUREVOLE RICORDO
P. Q. M.
MDCCCXLVI

Tratto da: Guida storica medica e pittorica di Salsomaggiore e Tabiano Giovanni Valentini -  1861

 

 

 

 

 

 

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