I Frati Cappuccini - I Pionieri
Da Un popolo in festa e in cammino, i 90 anni della chiesa di Sant'Antonio - 2005 - I Frati Cappuccini sono stati fondamentali nella storia della nostra chiesa non solo perché l'hanno voluta, ideata e fatta costruire, ma anche perché l'hanno amministrata come Parrocchia per più di 80 anni, da quando Monsignor Angelo Fiorini, il 10 giugno 1915, consacrò il nuovo tempio dedicandolo "al nome e alla memoria di Sant'Antonio da Padova".
Tra loro ricordiamo in particolare:
- Padre Guido da Podenzano, superiore della famiglia di Parma, che, il primo aprile 1914, chiese al Vescovo di Fidenza, Monsignor Leonida Mapelli, il permesso di "poter erigere una Chiesa in onore di Sant'Antonio da Padova) in Salsomaggiore) ai confini della Diocesi di S. Donnino";
- Padre Sisto da Reggio Emilia che fu il primo cappuccino autorizzato dal Vescovo Mapelli "alla cura delle anime di quella parte della Parrocchia di Bargone che si estende) nella borgata di Salsomaggiore) alla sinistra del torrente Chiara";
- Padre Giovanni da Fivizzano che, dal 9 agosto 1915 in poi, resse la "quasi Parrocchia") divenuta Parrocchia nel 1919 con decreto firmato dal nuovo Vescovo di Fidenza, Monsignor Giuseppe Fabrucci. Padre Giovanni fu dunque il primo vero parroco di Sant'Antonio (dal 1919 al 1925);
- a lui succedette l'instancabile e poliedrico Padre Cirillo da Bagno (dal 1925 al 1931) che, tra le tante cose che fece, acquistò le campane e fece costruire la cinta muraria nonché la chiesina che è situata in piazza Giovanni XXIII, dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Inoltre, senza aiuti statali, provvide anche alla costruzione dell'Asilo Infantile;
- terzo parroco fu Padre Diego da Caprio (dal 1931 al 1934). Nel 1931, in piena crisi mondiale, ereditò una Parrocchia oberata di debiti contratti per le varie costruzioni precedenti, ma da bravo parroco seppe far fronte ai creditori, pagando tutti i debiti; in più, provvide a far eseguire le decorazioni delle pareti (ad opera del salsese Pietro Maestri) e gli affreschi riproducenti la vita di Sant'Antonio (ad opera del pittore bergamasco Severino Bellotti, 1931). Moriva a soli 52 anni di età lasciando ai posteri la fama di Servo fedele di Cristo, capace di trafficare i talenti ricevuti in dono;
- Padre Pasquale da San Nicolò, parroco dal 1934 a11937, ebbe, tra l'altro, il merito di chiamare a Salsomaggiore per la cura delle Opere parrocchia- li le Ancelle della Carità di Brescia che restarono a Salso dal 1935 al 1962;
- quinto parroco fu il non dimenticato Padre Roberto da Arzelato che nella sua lunga permanenza (dal 1937 al 1961) molto fece per i parrocchiani e per la chiesa. Durante la guerra intervenne più volte, di notte e di giorno, tra i contendenti sempre a favore della popolazione. Un volta andò al "Villino Catena" dove la Brigata Nera aveva arrestato varie famiglie salsesi, minacciando rappresaglie su di esse. Il Padre fece un appello alle autorità fasciste ed ottenne che fossero sospese le minacce e liberate le famiglie prese in ostaggio nella retata. Finita la guerra, si dedicò alla costruzione della Casa di Riposo "Sacra Famiglia", opera importante che realizzò con il contributo materiale e morale di tanti parrocchiani - tra i quali il Gruppo Alpini di Salsomaggiore - e, in primis, della cofondatrice Ida Berzieri. Le difficoltà non mancarono: basti pensare che, quando chiese un piccolo contributo al Comune per la costruzione di tale struttura, gli fu negato con la seguente motivazione: "L'opera è inutile in quanto, in futuro, dei poveri non rimarrà neanche la semenza perché tutti ritrarranno dal lavoro una invidiabile prosperità". Altrettanti ostacoli dovette superare quando si attivò perché il quartiere di Sant'Antonio, divenuto negli anni molto popoloso, disponesse di una farmacia in loco. A quei tempi esistevano solo le farmacie del centro. Padre Roberto comunque, con grande determinazione, realizzò tutti i suoi progetti e fu esempio di uomo volitivo, saggio e sereno perché sicuro di sé e dell'aiuto di Dio.
Altri "costruttori"
I parroci che succedettero a Padre Roberto furono, rispettivamente:
- Padre Alessandro da Pieve Modolena , uomo di cultura, diplomato in scienze sociali all'Università Pro Deo di Roma e docente in vari licei, il quale fu parroco di Sant'Antonio dal 1961 al 1965. Di grandi virtù morali, era molto amato dai giovani, dei quali fu pastore e apostolo infaticabile. Morì per incidente stradale il giorno 25 giugno 1965 mentre, a bordo di un' automezzo della Parrocchia, stava rientrando da una gita proprio in compagnia di alcuni giovani;
- Padre Guido da Centenaro, che fu parroco dal 1965 al 1970, si distinse per operosità e affabilità. In gioventù fu grande predicatore sia in Italia sia all'estero, dove si impegnò anche nell'assistenza agli emigranti;
- Padre Mario Galeotti, che fu parroco dal 1970 al 1976, attualmente opera nel convento di Santarcangelo di Romagna;
- Padre Arcangelo Panciroli da San Bartolomeo, parroco dal 1976 al 1979, attualmente opera nel convento di Pavullo nel Frignano;
- Padre Gianantonio Salvioli da S. Martino in Rio, che fu parroco dal 1979 al 1990, attualmente opera nel convento dei Frati Cappuccini in Fidenza;
- Padre Mario Cappucci, che fu parroco dal 1990 al 1994, attualmente è assistente ecclesiastico presso l'ospedale di Reggio Emilia;
- Padre Amaldo Pellesi, che fu parroco dal 1994 al 1996, è scomparso nell'aprile 2005;
- Padre Giancarlo Galli, parroco dal 1996 al 1999, attualmente lo è a Fidenza presso la chiesa di San Francesco.
Alcuni cappuccini non parroci Tra i tanti Frati Cappuccini, non parroci, un particolare ricordo va a:
- Padre Pellegrino da Campagnola a tutti noto come fra Pacetta;
- Padre Raffaele da Mestre;
- Padre Evaristo da Carniana.
Padre Pellegrino da Campagnola ovvero fra Pacetta (1896-1977)
Padre Pellegrino era un Frate laico che i salsesi di una certa età ricordano come questuante per le vie della città, con un cesto in una mano e il Rosario nell'altra, ma la sua vita avventurosa e affascinante va ben al di là di queste pur rispettabili apparenze e merita di essere ricordata. Padre Pellegrino nacque a Campagnola Emilia nel 1896 e, dopo una giovinezza assolutamente "normale", a 20 anni venne arruolato e andò a combattere sulle Alpi altoatesine (siamo nella prima guerra mondiale). Caduto prigioniero, fu condotto in Austria; di lì fuggì in Germania, poi in Polonia, poi in Russia (vi restò oltre tre anni) finché giunse a Vladivostock, nel Mare del Giappone, e di lì via mare iniziò il viaggio di ritorno che lo avrebbe riportato a casa. A casa avrebbe potuto iniziare finalmente una vita serena e tranquilla, ma non fu così. E chiaro infatti che uno come lui, che aveva girato mezzo mondo, conosciuto città e popoli diversi e soprattutto visto morire in un attimo tante persone, era consapevole del fatto che i giorni che gli restavano da vivere potevano essere tanti ma anche pochi e perciò sapeva di doverli spendere "al meglio". Ma come? La scelta gli si presentava problematica se non addirittura angosciante: poi, attraverso il Terzo Ordine Francescano, si avvicinò alla religione, verso la quale per troppo tempo era stato indifferente. In quell'ambiente conobbe la vita di Francesco da Caporosso, un cappuccino ligure recentemente canonizzato che era solito percorrere le vie di Genova con il Rosario in mano, una cesta per la questua e il sorriso sul volto. Dopo aver ben meditato, decise: voleva essere come lui. E come lui è stato veramente, felice come la massaia che ha rinvenuto la moneta smarrita o come il mercante che, avendo trovato una perla di grande valore, tutto vende per acquistarla. Ora aveva indovinato la sua strada ed era sereno: soprattutto aveva tanta pace nel cuore, che trapelava anche all'esterno. La gente quando lo incontrava gli chiedeva il perché di tanta serenità e si sentiva rispondere con un sorriso tra il mesto e il bonario: "Oh, la mia pace!" Di lì verrà il soprannome di fra Pacetta, deciso non si sa da chi, ma adottato rapida- mente da tutti per indicare la prima caratteristica di una persona dalle tante virtù: umiltà, amore del prossimo, disponibilità all'ascolto e sempre pronto, in convento, ai lavori più onerosi. La questua per lui era la via più diretta per stare tra la gente e "convertirla", e la gente lo capì, come si vide il giorno del suo funerale, quando restarono in tanti a lungo in piedi e in silenzio a piangerlo, dentro e fuori la chiesa, perché non c'era posto per tutti.
Padre Raffaele da Mestre (1922-1972)
Padre Raffaele arrivò al convento-parrocchia di Salsomaggiore nel marzo 1965, dopo anni di penoso peregrinare da un ospedale all'altro in Italia e in Svizzera, in seguito alle gravi lesioni riportate alla spina dorsale nell'incidente stradale. avvenuto nel giugno 1948, mentre seguiva, come predicatore, la statua della Madonna Pellegrina nella diocesi di Reggio Emilia. Il parroco, Padre Alessandro, suo carissimo amico e compagno di studi, gli affidò subito il compito di occuparsi dei giovani. Padre Raffaele accettò con entusiasmo e si mise all'opera: osservò la realtà del rione, si calò nell'ambiente dei giovani, si interessò delle loro paure e attese, fu attento al loro percorso, li accompagnò nella loro attuazione umana. La sua conoscenza sapienziale del cuore umano, affinata dall'accettazione della sofferenza fisica e morale, era profondissima, senza ombre. I giova- ni, ma non solo loro, si assiepavano attorno al "Padre in carrozzella"; di giorno in giorno cresce- va il loro numero, arrivavano anche da altre parrocchie e da luoghi vicini. Sembrava prendere forma il desiderio di Padre Raffaele, maturato in anni di incontri ed esperienze: fare della Parrocchia di Sant'Antonio un Centro per giovani, un Centro ecumenico. Nel Centro, come nel cuore di Padre Raffaele, tutti avrebbero trovato posto, ognuno con il suo mistero di disperazione e di fiducia, di fragilità e di grandezza. Preghiera, meditazione prolungata, confessioni, incontri con i singoli e con i gruppi, conferenze e dibattiti occupavano la sua giornata; nonostante le limitanti condizioni fisiche, Padre Raffaele non si arrestava e neppure trascurava nulla che potesse favorire la promozione delle persone.' Era un vulcano di idee e di progetti: allestì una piccola biblioteca per i giovani, formò un'orchestrina, organizzò una compagnia di prosa ... La sua prorompente umanità, la sua parola brillante, i suoi canti, la sua accoglienza e fedeltà, in una parola, lo stile di una vita che convince per trasparenza e autenticità, attraevano molti e forse turbavano anche e disturbavano qualcuno, certo non lasciavano indifferenti. Poche righe, enuclea- te dalle tante pagine di analisi e di riflessioni lasciate scritte da Padre Raffaele, dicono il suo rapporto con quanti gli si avvicinavano, specie con i giovani, e il suo operato: "Ho cercato di darvi il Signore, prima amandovi, prendendovi come eravate, senza forzare la vostra libertà e poi, partendo dalle vostre esperienze, siamo arrivati a parlare dei vostri problemi e, alla fine, di Dio. Da Dio siamo arrivati a parlare della Chiesa, dalla Chiesa al Vangelo, poi a Gesù e poi a tutto." Nel giugno del 1968 Padre Raffaele fu trasferito al convento di Puianello, dove morì nel dicembre del 1972. Nulla del suo operato è andato perduto, ma tre anni erano davvero pochi perché quell'incipiente Comunità potesse proseguire autonomamente nel segno indicato da Padre Raffaele: "La Chiesa nasce quando si comincia a vivere Cristo". Nonostante quell'esperienza di unitaria appartenenza si sia - e comprensibilmente - arrestata, in tutti è rimasta l'indicazione certa della meta.
Padre Evarislo da Carniana (1922-1998)
Chi vedeva anche da lontano la tonaca di un Frate su un vespino colorato non poteva sbagliare: era Padre Evaristo. Dotato di grande buon senso e di intraprendenza, era molto popolare: entrava nelle fami- glie dei poveri e dei ricchi, dei credenti e dei non praticanti; aveva un accesso privilegiato anche negli uffici pubblici, non chiedeva mai per sé, ma per chi era nel bisogno e per la comunità. Così, valorizzando i suoi contatti interpersonali, ha ristrutturato il complesso di Campore, ha aiutato tante famiglie, ha trovato posti di lavoro. Si narra che un giorno i Frati fossero in difficoltà ad onorare le scadenze di pagamento. Padre Evaristo disse al parroco: "Non preoccuparti, tu vai in chiesa a pregare; io esco e vedrai che qualche cosa trovo!". Dove sia andato né da chi, non è dato sapere, ma tornò con la somma di denaro necessario a pagare le fatture della Parrocchia. Un forte senso della Prvvidenza, un cuore grande per tutti, la passione per i ragazzi che incontrava anche come insegnante di religione alla Scuola Media Statale. E, in più, una libertà di spirito che gli consentiva di andare oltre la burocrazia e le formalità. Già durante la guerra, con grave rischio personale, Padre Evaristo fu accanto alle famiglie per dare cibo, mediare le trattative, cercare notizie dei soldati al fronte. Riuscì persino a far aprire dei magazzini militari per distribuire alla gente derrate alimentari, coperte e altro materiale. Una volta gli fu contestata un'infrazione al codice stradale. Ascoltate in silenzio le motivazioni, Padre Evaristo disse all'agente: «Lei è battezzato?". «Si", rispose l'agente sorpreso. E il Frate: «Ha partecipato domenica alla Santa Messa?". "No, purtroppo no", disse con imbarazzo l'interessato. "Allora anche lei ha commesso una grave infrazione. Quindi, siamo pari", incalzò Padre Evaristo che, acceso il vespino, ripartì sorridente. Ai ragazzi, che si andavano a confessare da lui, chiedeva di controllare le mani, se fossero pulite o sporche: " ... hanno fatto il proprio dovere, hanno aiutato e amato ... ?". Poi li abbracciava, dopo aver loro dato il perdono di Dio. Sul ricordino, distribuito ai fedeli in occasione del funerale, è scritta una bella favola, proprio adatta al- l'incontro di Padre Evaristo con l'aldilà. Eccola: "Si è udito un po' di chiasso, questa mattina, all'entrata del paradiso: "Oh è, Pietro, Gesù, cara Madonnina, sono qui; c'è qualcosa da fare quassù?". Interviene subito San Francesco: "Calma, Frate vento; qui non esiste il fare; qui c'è solo l'incremento dell'essere". "Adesso capisco, vi ringrazio tutti di avermi evitato il purgatorio; avete premiato la mia buona fede". Il suo cuore si è innamorato di Salsomaggiore Terme e ha voluto essere sepolto nella nostra città.
"Grazie di tutto".
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