Voce di S. Antonio - Parrocchia di S. Antonio  - Salsomaggiore Terme

1 agosto 1950 – Voce di S. Antonio - Ritorno al mio paese -  Fa bene rivedere, di quando in quando, il pae­se natio, i luoghi dove mille memorie parlano al cuore degli anni di una giovinezza, ormai lontana, rivivono in una rapida e, se si vuole, un po’ sen­timentale successione. E’ così anche se non si vorrebbe «Il cuore non invecchia mai», dice un proverbio, anche se col passare del tempo è più facile alle tenerezze e pile nostalgie.

Con gli occhi dell’anima ho visto Salsomaggio­re e tutto un passato si è fissato nella mente. Quante innovazioni! Quali sviluppi esteriori! Il ritmo del tempo s’è impresso in molte cose vecchie e nuove: molte hanno camminato, molte sono rimaste tali e quali. Sui volti degli amici d’infanzia l’aria grave di cui sente il pondo di responsabilità non lievi: per la famiglia, la vita pubblica e sociale. Per chi ritorna ed osserva pare che questo sta­to di... avanzamento, riguardi solo gli altri, gli amici che rivede, i ragazzi di ieri, oggi uomini maturi con la fronte alta per l’inesorabile caduta dei capelli, e le tempie argentate dal pulviscolo de­gli anni. Nello specchio in cui mira, non scorge gli stessi fatali effetti, non vede riflessi i suoi radi capelli e le rughe incipienti. Il ritorno dà questa illusione che dura poco, troppo poco. Così ho rivisto Salso, il mio paese, la terra dei miei che ora riposano nell’aride zolle del Cimi­tero disadorno. Un velo di sottile malinconia, un nido di me­morie in fondo all’anima. Rotto l’incantesimo a cui è difficile sfuggire ho voluto guardare concretamente alle cose che molti anni fa interessavano la nostra modesta sen­sibilità sociale. Mi è parso, pur tra la gioia di un notevole pro­gresso cittadino, di cogliere come un motivo d’inspiegabili incertezze, di lavori piantati lì, a mez­z’aria, di problemi pensati ma non risolti, di cose iniziate e non finite che testimoniano un attesismo altrettanto incerto. L’anello d’un progettato campo sportivo che l'abbandono involge d’erbe e nasconde le linee. — E’ stato fatto per dare lavoro! — Qualcuno sussurra. Nobile il fine ma errata la realizzazione, si potevano fare case per quelli che ne hanno bisogno e si sarebbe risolto un duplice problema. L’Ospedale, che la generosità, l’intraprendenza i benemeriti cittadini aveva eretto, senza realizzarne l’ultimazione per mancanza di fondi, da anni canta una mesta canzone d’abbandono. Si sarebbero potuto allogare parecchie famiglie togliendo così all’azione corroditrice del tempo la possibilità di mandare alla malora un notevole edificio. Bianchi mucchi di smosso terreno sulla strada che porta al Cimitero confermano il difetto congenito di chi pensa alle sorti del paese. Lavoro iniziato e poi interrotto anche lui in attesa «che i venga buona», come dicono in Toscana. Con passo affrettato percorro il viale Matteotti, da quando il vecchio trenino e l’arcaica Titina sono scomparsi un altro viale s’è profilato, file di giovani platani sembrano ansiose di crescere per mare la loro frescura, invidiosi della galleria ombrosa degli ippocastani. Nel mezzo la strada più ampia e sicura. Un senso di profondo compiacimento fa gioire il cuore. Così, proprio così s’era scritto e desiderato in un tempo lontano. Passo passo pregustavamo la gioia di vedere il vecchio amato rione di S. Antonio. Nella mente cantavano alcune vecchie strofe dialettali che abbozzavano concrete esigenze locali, che le raffi­nate amministrazioni passate spesso e volentieri lasciavano cadere nel dimenticatoio. La luce che s’arrestava all’inizio del viale Venti Settembre, la strada piena di buche, l’inosservanza dei vigili che raramente giungevano sino laggiù, lo spostamento di alcune mura per raddrizzare la strada e farla più larga. Quale meraviglia e delusione. Solo qualcuno di questi problemi delle moderne amministrazioni hanno in qualche modo affrontato, dando prova di aver ben poco mutata della concezione che allora si aveva del quartiere dei «Pescatori». Infatti la stessa delimitata zona del silenzio incomincia dal vecchio viale e non si tien conto alcuno dell’ininterrotta fila di case che da Villa Laura, inizio del Paese, alla Chiesa, porge il pri­mo e l’ultimo saluto alle veloci e rombanti mac­chine degli ospiti. Rombate pure o motori, il sonno di quelli della terra di nessuno è più duro. Esultate o tubi di scappamento, i ben costrutti orecchi di questa gente non hanno la delicatezza di quelli che stan­no oltre il viale. Infatti deve essere così, anche per gli occhi. La luce s’arresta all’inizio o alla fine del viale. I cin­que o sei lampioni per i proletari occhi degli abitanti di S. Antonio, potrebbero determinare il crollo delle... doviziose finanze Comunali? C’è da ritenerlo dal momento che nonostante le reitera­te promesse degli amministratori passati, non si vede porvi rimedio. Così deve essere anche per i piedi degli abitanti di quaggiù a giudicare dalle strade. Si sono fatti i vialetti, spostate le mure, ma un po’ di asfalto, un po’ di messa in ordine avrebbe dato decoro e pregio a quest’ingresso della città. Alla domanda se l’amministrazione ha qualche riguardo per le tasse, per questi salsesi... in ab­bandono, un coro unanime di pescatoresi assicu­ra che in quanto a zona delle tasse si comincia con uguale intensità dall’ingresso del paese e ben più in là. Nel constatare le deficienze, che sono anco­ra quelle d’un tempo, un acuto senso di amarezza ci prende. Nulla dunque di mutato nella valoriz­zazione di questo quartiere autenticamente operaio. Si pulisce, dove c’è netto, si asfaltano le strade del parco, si fa luce ai cigni del laghetto e sempre si ignora l’esistenza del popolare none. Le case riordinate, le ferite della guerra rimargi­nate dicono dell’operosità di questa gente, mai se­conda quando si tratta di solidarietà e di generosità salsese. E’ proprio vero, certi problemi permangono come un tempo, e per risolverli ci vorrebbe ben poco. Forse è problema di uomini? Si, mi risponde una voce remota. E allora la gioia del ritorno s’amareggia e in fondo i vecchi versi dialettali riprendono a can­tare. Non più il vecchio Aedo, il buon Comeu con le sue sferzate in rima, non più l’intelligente sor­riso del Sior Felice, che tra una ricetta e l’altra de­clamava Virgilio ed Orazio, non più certe massicce figure di salsesi integri, Catullo Gambarini, e molti altri che nelle cose del paese ci mettevano più sale nostro, pur senza dimenticare le fortune e le speranze di Salsomaggiore. Rimangono, tali e quali, vecchi e insoluti pro­blemi che il buon popolo rimugina attendendo ohe la venga buona.

Carlo Demetrio Faroldi

 

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