TuttoSalso - 13 aprile 1952 - Il parco di Salsomaggiore ha compiuto quarant'anni - Sotto l’aspetto dell'età, un parco gode gli stessi privilegi di una bella donna: prima che l’uno e l’altra si possano dire vecchi, molti sono gli anni che devono passare, perchè la loro giovinezza dura con quella elasticità di misura che fu certamente lo spunto principale della teoria di Einstein.
Quello di Salsomaggiore è un parco appena quarantenne; giovanissimo, quindi.
Fu Margherita di Savoia a «scoprirlo».
Con il recinto del terreno accuratamente cintato e gli accessi rigorosamente chiusi, nessuno, all’infuori degli «addetti ai lavori», aveva cognizione della complessa opera di sistemazione appena iniziata per preparare viali, trapiantare alberi, distribuire aiuole ed installare impianti idrici ed elettrici.
I «bagnanti» di quel tempo non ne supponevano neppure resistenza, tant'è che, ad un accenno casuale fattole da una popolana — la vecchia Maria, più volle da lei beneficata e notissima per il suo carrettino di cartoline illustrale ed i litigi coi monelli — la regina Margherita chiese sorpresa: Ma dove? E volle recarvisi senza accompagnamento di autorità e pericolo di discorsi.
Il parco era allora (1911) un abbozzo appena delineato, più vivaio che luogo di passeggio. Unici presenti furono i giardinieri e gli operai che salutarono, sorpresi, l’eccezionale visitatrice e quella solitudine insperata fu forse la ragione per la quale la regina vi ritornò quotidianamente con grande gioia di «Nerone» e «Bo- by» che lì, almeno, potevano sfuggire alla tortura del guinzaglio e della museruola.
Margherita di Savoia era già da tempo frequentatrice assidua e fedele di Salsomaggiore, ove trascorreva un periodo di cura primaverile ed uno autunnale. Fu lei a dare alla nostra stazione termale quell’impronta di regale femminilità che tanto ci venne invidiata. Sempre vigile ad affiancare autorevolmente le migliori iniziative salsesi — dal riscatto delle terme alla creazione del parco — fu lei a diffondere il nome di Salsomaggiore e l’efficacia delle sue cure negli ambienti più eccelsi dell’Europa di quell'epoca. Durante i suoi frequenti soggiorni, E appartamento ed i saloni del Grand Hotel des Thermes si trasformavano in una piccola corte intellettuale, alla quale convergevano — per fare corona alla regina madre d’Italia — i più bei nomi dell’aristocrazia dell’ingegno, delle arti e delle scienze. Non vi era, infatti, poeta o drammaturgo, musicista od inventore o giornalista che non ricercasse il piacere di intrattenersi e conversare con Margherita, a cui l’età avanzata aveva mutata la bionda bellezza in una argentea dolcezza materna nella quale risplendevano l’acutezza dello spirito e la profondità del sapere.
Tutto ciò venne indubbiamente dimenticato, il giorno in cui, con impulsiva decisione, si volle «epurare» quel nome, come se esso avesse rappresentato l’espressione di un cortigiano servilismo anziché la manifestazione concorde dell’affettuosa riconoscenza di tutta una popolazione. E venne dimenticato, altresì, che ai solenni funerali di Margherita svoltisi a Bordighera, un solo gonfalone comunale venne ammesso, per sua espressa volontà, nel corteo, fra i mille che ambivano al singolare privilegio. E fu il gonfalone del Comune di Salsomaggiore. Oggi, Salsomaggiore può sorridere sui timori di quei giorni agitati. E, con atto di serena fiducia nella saldezza delle istituzioni liberamente scelte dal popolo italiano, potrebbe ridonare al parco il nome di lei, di Margherita, che è anche un bel nome.
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Finita vittoriosamente la Grande Guerra — durante la quale il parco rimase come una pratica burocratica sepolta dalle altre urgentissime — ripresero i lavori di completamento le amministrazioni comunali di quel primo dopoguerra. Ma, cambiati gli uomini e mutate le possibilità del bilancio, nacquero incertezze, sorsero dispute e, mentre nelle discussioni si impegnavano partiti e programma, le piante crebbero rigogliose e superbamente noncuranti del progetto di Tizio o del parere di Caio.
Tenne così il 1925, l’anno del debutto ufficiale. E fu lo spettacolo d’opera di commemorazione pucciniana, il primo avvenimento di portata nazionale che fece conoscere il Parco di Salsomaggiore.
L’idea ardita di rappresentare «Madama Butterfly» all’aperto nacque ad un (allora) giovane maestro, che ne fu poi il direttore e concertatore. Mentre i dubbi e le difficoltà tecniche vennero superate col consiglio autorevole di Arturo Toscanini, le basi finanziarie vennero risolte da un organizzatore volonteroso e disinteressato che si assicurò, d’un colpo, il concorso del Comune, degli enti e degli albergatori locali. La collinetta che domina il laghetto divenne, per alcuni giorni, la collina di Nagasaki ed il laghetto, in parte prosciugato, formò la platea di così eccezionale spettacolo. Tutto concorse al successo che fu pieno e caloroso, nonostante l’improvviso acquazzone capitato prima della rappresentazione, il quale fece maliziosamente sussurrare che tutto fosse stato organizzato per riacutizzare i dolori reumatici eri aumentare il numero dei bagni salsoiodici.
L'appassionata vicenda della piccola giapponese «rinnegata ma felice» ebbe una riconsacrazione significativa — Arnaldo Fraccaroli fece il discorso commemorativo — dinnanzi ad un pubblico eletto che certamente ricorda ancora, fra l’altro, l’attento raccoglimento dei cigni, eleganti ed assorti nell'ascoltare, c&torno all’orchestra, le note melodiose di Giacomo Puccini. Di certo, mai come quella volta, il coro nostalgico dei lavoratori del porto di Nagasaki fece aguzzare lo sguardo velato di commozione nel buio della notte per cercarvi, assieme a Butterfly, la fede nell’attesa.
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Passarono alcuni anni, venne il 1931 e la quiete della pineta fu improvvisamente turbata da una confusione di ingegneri, sterratori, operai, intenti tutti a preparare l’adeguata accoglienza ad ospiti eccezionali provenienti da Roma, da Villa Borghese. Erano ospiti esigenti e, a detta degli esperti, di carattere impulsivo: «clienti difficili» li definì un albergatore.
Trattavasi di quattro giovani coppie ( coppie regolari, s’intende) donate al Comune di Salsomaggiore dal Giardino zoologico di Roma: una di leoni, una di leopardi, una di puma ed una di orsi bruni. Erano giunti assieme a colleghi più mansueti: due gazzelle donate dal Duca degli Abruzzi, quattro caprioli, alcuni esemplari di fagiani dorati di singolare bellezza, un'aquila del Canada, alcune volpi ecc. Mancavano le solite scimmie e l'esclusione non apparve affatto di cattivo gusto. Com'è nelle tradizioni salsesi, agli ospiti venne assicurato «ogni conforto moderno»: chioschi in muratura per ogni famiglia (niente coabitazione) ed impianto di termosifoni per attenuare i rigori invernali ai reali della foresta, nonché impianto di bagni (non salsoiodici) per refrigerare gli orsi nel periodo di calura.
C’è chi ricorda ancora la viva diffidenza con la quale le singole coppie presero possesso del rispettivo appartamento. Erano inquilini a cui non garbava molto l’odore di calce e di vernici; il leopardo, in ispecie, ebbe ad esprimere le sue proteste — ad autorità e cittadini che si erano fatti premura di fargli visita di dovere — con manifest azioni poco urbane e piuttosto preoccupanti. Più sereno e dignitoso apparve invece l’atteggiamento di «Sultano, il magnifico leone che era giunto a Salsomaggiore con un profondo graffio fra gli occhi, frutto probabile di imprudenti discussioni di viaggio con la consorte «Roma». Ma, «Sultano aveva soltanto sedici mesi ed, evidentemente, anche a chi impera nella giungla occorre un’esperienza coniugale.
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Ed ora? Ora, il Parco quarantenne ha l’aspetto un po’ triste di chi si sente messo da parte e trascurato.
Coraggio — amico caro della giovinezza di Salsomaggiore e testimone silenzioso di tante promesse di umore. La vita, si afferma ormai autorevolmente, comincia a quarant'anni coraggio, dunque, ed auguri.
Luigi Grazioli
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