illustrazione italiana 18736 agosto 1876 - l’llustrazione italiana - anno III - n. 41 - Salsomaggiore - Cronaca dei bagni  - Una volta c’era un marchese al cui battesimo aveva presieduto una fata sotto la bella forma della Rosa.
Ella però non aveva colmato di doni il suo figlioccio, come sogliono le fate; ed il marchese a misura che si faceva grande e si guardava intorno, vedeva che gli mancavano tante cose, e si sentiva formicolare nel cuore tutta una nidiata di desiderii. La bella fata della Rosa vedeva le aspirazioni del suo marchese figlioccio; e quando questi fu giunto a mezzo del cammin di nostra vita comparve a lui e gli portò in dono un ramoscello su cui erano una frasca, una spina ed un bottone di rosa; e gli disse: “Quando un desiderio fervente turberà la tua pace, cogli una di queste tre cose, e vi troverai quello che avrai desiderato.”

Passò un po di tempo ed al marchese dalla rosa non pareva possibile di vivere ignorato come un semplice mortale. - Era l’epoca delle elezioni.
“Se fossi deputato” - pensava. E quel pensiero divenne insistente e pose radice nella sua mente e finì per desiderare tanto e tanto ardentemente d’esser deputato, che ne perdette la pace. Allora pensò al dono ed alle parole della fata; corse a prendere il ramoscello di cui essa gli aveva fatto dono ne strappò la frasca:
E tosto ne usci il suo nome col titolo di onorevole. Il marchese ringrazio la fata con tutta la riconoscenza del suo cuore; corse al Parlamento, si agitò, si dimenò, fece la ruota come un tacchino per farsi ammirare nella sua nuova qualità di deputato. Ma erano cinquecento che tutti si agitavano, si dimenavano, facevano la ruota come lui, e come lui si chiamavano onorevoli, sebbene alcuni fossero tutt’altro. Allora il marchese trovò che quel primo dono della fata era proprio una frasca. Ed ansioso di qualche cosa che lo sollevasse al disopra della folla tornò al ramoscello della fata e ne tolse la spina. Ne usci una sciarpa tricolore.
- Sindaco, esclamò il marchese giubilando.
Almeno non avrò altri sindaci intorno a me sarò solo nel mio paese a portar questo titolo .
E tronfio e beato come il signor Finocchi, il marchese si cinse la sua bella sciarpa tricolore.
Ma tosto gli si rovescio addosso una valanga di affari municipali, d’interessi imbrogliati, di quelle quistioni bilaterali, che da qualunque parte si piglino, si può sempre dire che son prese a rovescio. Fece un iliade d’errori si sollevò intorno un mondo di malcontenti e finì per comprendere che il secondo dono della sua fata non era che una spina.
Allora ricorse al terzo. Ma non aveva più fede in quella fata che lo illudeva per deluderlo. Ed infatti, strappato dal ramoscello il bottone di rosa, non ne usci che una goccia d’acqua. Era salata ed il marchese la credette una lagrima. Ma la fata si mostrò e gli disse: “Trova la sorgente di queste lagrime ed io la convertirò in una miniera.”
Ed il marchese cercò intorno a sé e trovò la sorgente della goccia salata. E chi aveva una glandola bastava che s’immergesse in quelle acque e la glandola spariva. E chi era rattratto da artritide, e chi soffriva di scrofole, di tumori, s’immergeva in quell’acqua e le sue membra stendevano ed il sangue si purificava. Ed i ciechi vedevano. Era la piscina del vangelo. Tutti i malati vi accorsero, ed ogni goccia acqua veniva mutata in oro pel fortunato marchese.
Ed io pure sono corsa in cerca di salute e di gioventù alla piscina salso-iodica miracolosa di Salsomaggiore.
Appena vi giunsi compresi che quel maggiore non può essere che un titolo di primogenitura perché è tale la piccolezza, la modestia la nullità di quel Salsomaggiore, che sarebbe impossibile immaginare un Salsominore.
È un paesello come ce ne sono tanti, con delle straduzze storte, delle case che protestano contro tutte le leggi dell’edilizia, ed un selciato che si direbbe fatto da una società di calzolai per dare sviluppo alla loro industria.
6 agosto 1876 - l’llustrazione italiana - anno III - n. 41 - Salsomaggiore - Cronaca dei bagni Vi sono tre o quattro alberghi uno più modesto dell’altro e dei caffè che se fossero in città ci sembrerebbero indecenti pei nostri servitori.
Lo stabilimento dei bagni poi sorge solitario, un trappista, senza né una camera d’abitazione né un ristorante, né un caffè attinente. Non è possibile, come negli altri stabilimenti, scendere dalla propria camera al gabinetto del bagno in accappatoio trasparente, e pianelle azzurre, coi capelli nitidi per ambrosia recente, svolazzanti sulle spalle; sfoggiando quell’elegante mattinata agli occhi di tutti i bagnanti dello stabilimento col pretesto che non si esce di casa. No. A Salsomaggiore per andare al bagno bisogna uscir di casa esporsi al sole alla pioggia al vento secondo i capricci del tempo traversar viottole e contrade dove invece della poesia delle vestaglie e delle pianelle bisogna portare la prosa delle scarpe dell’abito e dell’ombrellino come se si fosse in città. Quello però che non manca neppur a Salso sono i concerti col rispettivo signor Macaluso che largo di sé si produce, e si riproduce con aumento di ri fino ad esaurimento di carta.
Giungendo a Salso un bagnante che si rispetta è invitato a prendere e prende l’abbonamento alle sale del casino che sono aperte ogni giorno sino alle cinque ed il giovedì e la domenica anche la sera. Di giorno l’abbonato sale una volta, non trova nessuno, prova a sedersi su due o tre poltrone scompagnate, che hanno gli elastici rotti; tenta una scala sulla tastiera scordata di un cattivo pianoforte, s’annoia e non ci torna più.
La domenica sera però fa toletta e va al casino per divertirsi.
Scusi, gli dicono alla porta, si paga due lire.
Ma io sono abbonato. Ecco il mio biglietto.
Non serve c’è il concerto del signor Macaluso.

Ma questa è sera d’abbonamento.
Sissignore ma c’è il concerto.
Ma allora a che serve prender l’abbonamento?
Ma! C’è il concerto!
Il giovedì si ripete la stessa storia e la domenica ancora e cosi via. Si paga l’abbonamento per tornar a pagare due lire ogni serata al casino. È vero che una parte degli introiti è qualche volta destinata ad un certo asilo d’infanzia Romagnosi di Salsomaggiore. Ma è vero altresì, com’è vero che l’acqua iodica è salata, che per quante indagini si facciano in ogni angolo remoto del paese non esiste neppur l’ombra dell’asilo Romagnosi.

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Ad uno di quei concerti, oltre l’inevitabile Macaluso, presero parte la marchesa De M…. e la marchesina Dalla R…. La prima è una bella signora. E canta come cantano le belle signore a cui nessuno si permette mai di fare un osservazione, che tutti lodano, o per entrar nelle loro grazie o perché sono in casa loro o per cento ed una ragioni, tutte egualmente estranee all’arte.
Io le compatisco. Quando tutti gridano brava, come si fa ad accorgersi d’aver sbagliato, a d’un difetto? La marchesina Dalla R…. è una bimba di quindici anni ed affronta una tale difficoltà artistica, che ha diritto a tutte le indulgenze a tutte le simpatie. - Suona il mandolino romano a corde metalliche, il cui suono è naturalmente crudo, e si richiede una perizia straordinaria per addolcirlo. - Eppure quella giovinetta riesce bene nel suo difficile compito; perocché s’illusero al punto da crederlo un mandolino lombardo a corde di budella.
Dopo i concerti, a titolo di compensazione, balla qualche ora. - Non c’è lusso, non vi sono tolette da ballo; ma si cerca di non sfigurare naturalmente. Si consulta il buon gusto e spesso si ottengono risultati più graziosi che non colle grandi tolette convenzionali. Debbo confessare che le signore eleganti di Parma primeggiano in fatto di gusto. Esse possiedono eminentemente l’arte di servirsi dei nastri. - Il nastro è un grande fattore nella toletta; ma è difficilissimo l’usarlo con quella grazia, quella abbondanza senza sfoggio, che richiede il gusto. A Milano i nastri sono incompresi ed abbiamo bisogno di studiarne ancora molto gli effetti, per riescire a trarne tutto il partito che ne traggono le eleganti parmigiane.

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Salsomaggiore ha pure una specie di letteratura salso-iodica, la quale s’infischia del disprezzo che lo spirito commerciale degli editori affetta per la poesia. - Essa si pubblica sui muri dei gabinetti dei bagni, sugli usci, sui vetri delle finestre.
Ho trovato versi di questo genere:

O glandoletta, se scomparsa sei

Salso vivrà nelli ricordi miei.

Ma se il veleno nel mio corpo dura

Non riederò giammai tra le tue mura.

 

E più sotto d’un altra scrittura:

Salso, se drizzi le mie gambe zoppe,

Ti canto un inno in tempo di galoppe.

Ai piedi d'una vasca, - d’una scritturina che parve di donna, e che potrebbe esserlo perché nei giorni di grande concorso alcune vasche dalla parte degli uomini vengono destinate alle signore. - trovai queste due quartine:

Ho nel ventre un tumorino
Che minaccia d’ingrossar,

Se lo sciogli, umor salino,

A te eriger vo’ un altar;

Te adorar come il divino
Ampollin di San Gennar
Io mi vo’ non più di vino
Ma di iodio inebriar
Ed Agostino, un bagnarolo poeta, che brandisce la sua gran spatola di legno con una fierezza da Arlecchino, e mentre prepara i bagni, testa alta e l’occhio inspirato declama i versi di Carducci e la prosa del prof. Filopanti, - ch’egli unisce e riconcilia in una comune ammirazione. - Agostino guarda con disprezzo quelle rime sconclusionate, ed esclama :

Tutta la fonte, o miseri, non vale

A porvi in zucca un granellin di sale

LA MARCHESA COLOMBI

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