5 - Dalla via Trento all'Andrea Doria - Dal diario di Nino Saccani, classe 1932 - 25 luglio 1956, Andrea Doria, il giorno del naufragio5 - Dalla via Trento all'Andrea Doria - Dal diario del salsese Nino Saccani, classe 1932 - 25 luglio 1956, Andrea Doria, il giorno del naufragio - Quel giorno, di pomeriggio, poco prima dell’arrivo a New York,  trovammo una fitta nebbia. Come da regolamento la sirena della nave suonava ogni due minuti. Era già capitato e nessuno di noi se ne preoccupò. Solo la coperta era in allerta e lo stesso comandante Calamai quel giorno non era sceso e aveva cenato sul ponte.

Per noi tutto regolare, quella sera si lavorava per la cena di gala. Alcuni si dovevano fermare oltre il normale orario di servizio per rimettere in ordine e pulire le cucine perché l’indomani era previsto il controllo della sanità americana. C’era poi da preparare il buffet di mezzanotte, quando l’orchestra faceva la pausa si mangiava ancora. Si mangiava sempre, e poi si lamentavano di ingrassare. Io come al solito terminato il servizio, dopo una doccia e dopo aver indossato ciabatte e divisa pulita, passai per una briscola in saletta dopolavoro. Ero seduto al tavolo con i miei compagni di gioco,  un siciliano, un sardo e un genovese, quando alle undici e venti sentimmo un forte scossone. Ci guardammo stupiti, temevamo di essere finiti su un banco di sabbia o contro uno scoglio. Ci dirigemmo tutti verso poppa, si dovevano attraversare due porte, saremo stati una cinquantina di persone. Per arrivare a poppa si dovevano percorrere circa cento metri. La nave era lunga 220 m, larga 28 m e pesava 29 mila tonnellate. Notai che tutto il personale era salito in pigiama e con il salvagente indosso mentre io, in ciabatte e con la divisa pulita, ne ero sprovvisto. Raggiunta di corsa la mia cabina per recuperare il mio salvagente sentii un forte scricchiolio. Pensai che era meglio sbrigarsi se non volevo fare la fine del topo. Risalii di corsa le scale, uscii sulla poppa ma feci molta fatica a camminare. C’erano circa quindici persone compreso un marinaio il quale mi spiegò che la nave era stata speronata. Mi chiese di aiutarlo a srotolare le grosse funi di canapa che servivano normalmente per l’attracco della nave al porto. Potevano essere utili, in caso di necessità, per scendere in acqua e mettersi in salvo. Lui le srotolava manovrando l’argano ed io lo aiutavo a farle scendere oltre il parapetto sino a raggiungere il pelo dell’acqua, circa quattro metri. Era molto complicato mantenere l’equilibrio, la nave si era ulteriormente inclinata e l’umidità della nebbia la rendeva molto scivolosa. Da una scaletta salii sul ponte superiore fino a raggiungere la piscina di terza classe. Il ponte era molto affollato, soprattutto da componenti l’equipaggio, tutti aggrappati al parapetto alto perché le lance di salvataggio della parte sinistra, a causa dell’inclinazione della nave, non erano state calate in mare. Mi dissero che bisognava buttarsi in mare. Io non ero un gran nuotatore, in fin dei conti avevo imparato a nuotare a S. Nicomede nelle pozzanghere dello Stirone, pensai quindi che mi conveniva scendere dalle funi che poco prima avevamo calato in mare. Mi voltai per ritornare al ponte inferiore ma l’inclinazione della nave e il ponte di legno bagnato mi costrinsero a scivolare per 10 metri sul sedere, scatenando, nonostante la situazione a dir poco precaria, l’ilarità dei miei colleghi. Raggiunta con non poche difficoltà la scaletta scesi di sotto. Scivolai di nuovo per altri cinque metri e mi trovai appoggiato al parapetto. Non c’era più nessuno. Mi rialzai a fatica, afferrai una delle funi che avevamo calato prima. Una mano di donna si aggrappò alla mia. Non riuscivo a tenerla, si sfilò dalla mia mano e scivolò in mare. Scomparve per un attimo sott’acqua e poi riemerse spinta su dal salvagente. Fu raccolta immediatamente da una scialuppa che passava in quel momento. Mi affrettai a scendere anch’io aggrappandomi alla fune per lasciarmi scivolare sulla scialuppa che invece, con mia grande preoccupazione, si stava allontanando. Una voce mi gridò di restare aggrappato alla fune che sarebbero ritornati subito a prelevarmi. Io restai li, ciondolante ma ben saldo alla fune, finché la scialuppa si avvicinò ed io mi lasciai scivolare dentro, in salvo. Avevo perso le ciabatte,  ma non mi ero nemmeno bagnato i piedi. Mi offrii volontario per la voga. Le nostre scialuppe erano dotate di un sistema a leve di tipo Fleming. Mi rivolsi ad un marinaio per capire come avrei dovuto manovrarle. Mi rispose che non c’era niente di difficile: "quando senti che tira, tira, quando senti che spinge, spingi”. Era molto faticoso. In lontananza scorsi una flebile, ma rassicurante lucina. Forse un paio di chilometri e raggiungemmo una nave. Le mancava gran parte della prua, era la Stockholm, la nave che ci aveva speronato. Il danno era grave ma la nave non sembrava rischiare l’affondamento. Si aprí un portellone e un marinaio calò una scaletta. Una voce ci disse di far salire prima i bambini, ma non c’erano bambini, poi le donne ed infine gli uomini e che i vogatori dovevano stare al loro posto. Bisognava tornare indietro a recuperare altri naufraghi. Ritornammo nello stesso punto dove mi avevano raccolto. C’erano molte persone che si calavano in mare. Si aiutavano un po’ con le funi, ma poi, non riuscendo a sopportare il calore prodotto dall'attrito delle funi sulle mani si lasciavano cadere. Era buio, ma si capiva dai forti tonfi che probabilmente con la caduta qualcuno si era infortunato. Dopo un po’ di tempo un marinaio mi disse di riprendere a volgare. Si poteva tornare perché aveva avvistato un certo numero di scialuppe vuote. Era venuta in soccorso una nave francese, la Ile de France, piú vicina a noi della Stockholm, verso la quale dirigemmo la nostra scialuppa. Ci affiancò un’altra scialuppa alla quale la nostra fece da ponte. Non c’erano feriti. Mi misero in braccio due bambini che passai immediatamente ai soccorritori, poi allungai una mano per aiutare a salire tutti gli altri. Non c’era piú nessuno, la scialuppa era vuota, erano tutti in salvo. Anch’io, finalmente, fui fatto salire sulla Ile de France. Era il 25 luglio del 1956.

Testimonianza raccolta da Gianluigi Saveri

 nino saccani 1 o dx

Nino Saccani é il primo a destra nella foto.

1 - Dalla via Trento all'Andrea Doria - Dal diario di Nino Saccani, classe 1932 - Tal là, tal là al mer
2 - Dalla via Trento all'Andrea Doria - Dal diario di Nino Saccani, classe 1932 - Ti con cla facia lì at pol ander in cap al mond 
3 - Dalla via Trento all'Andrea Doria - Dal diario di Nino Saccani, classe 1932 - 7 luglio 1955, per la prima volta mi imbarco a Genova sull'Andrea Doria
4 - Dalla via Trento all'Andrea Doria - Dal diario di Nino Saccani, classe 1932 - Andrea Doria, prima traversata Genova - New York e ritorno
5 - Dalla via Trento all'Andrea Doria - Dal diario di Nino Saccani, classe 1932 - 25 luglio 1956, Andrea Doria, il giorno del naufragio
6 - Dalla via Trento all'Andrea Doria - Dal diario di Nino Saccani, classe 1932 - 25 luglio 1956 - Il salvataggio
7 - Dalla via Trento all'Andrea Doria - Dal diario di Nino Saccani, classe 1932 - 25 luglio 1956 - 13, il mio numero fortunato

 

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